Acido lattico: cos’è, perché si forma, come smaltirlo
L’acido lattico è una molecola prodotta in quantità elevate durante un’attività fisica intensa che sfrutta il metabolismo anaerobico lattacido. Viene sintetizzato durante la glicolisi anaerobica, tramite l’enzima lattato deidrogenasi che riduce il piruvato a lattato (fermentazione lattica).
Questa molecola solitamente è associata al bruciore che si prova durante un esercizio fisico intenso, ma, al contrario di quanto si sente spesso dire, non fa male, non è il vero responsabile della fatica muscolare, né tantomeno dei dolori muscolari del giorno dopo.
Cos’è l’acido lattico?
L’acido lattico è una molecola organica le cui concentrazioni aumentano durante attività fisiche ad alta intensità della durata di 20-180” circa, tempistiche relative ai cosiddetti sforzi glicolitici (1500m corsa, 50-100m nuoto, 200m sprint, ginnastica di routine su attrezzi); questo genere di attività è caratterizzato da una condizione di relativa mancanza di ossigeno, motivo per cui, da un punto di vista biochimico, si parla di glicolisi anaerobica.
Il lattato, invece, è l’ anione (ione negativo) dell’acido lattico, ovvero la molecola privata di un protone (H+), la quale va rappresentata, da un punto di vista chimico, con il segno (-). I due termini, quindi, spesso usati come sinonimi, non indicano esattamente la stessa molecola.
Produzione e accumulo di acido lattico
Da un punto di vista biochimico, durante il riposo o attività a bassa intensità, esiste il cosiddetto “stato stazionario”, in cui l’idrogeno si ossida quasi alla stessa velocità con cui si rende disponibile; questo stato dinamico relativamente costante viene definito glicolisi aerobica e vede il piruvato come prodotto finale.
Nell’esercizio strenuo, la domanda di energia supera la disponibilità di ossigeno o il suo tasso di utilizzo: si verifica una condizione di anaerobiosi, ovvero una relativa carenza di ossigeno.
L’ossigeno, essendo l’accettore finale degli elettroni nella catena respiratoria, non è capace di ossidare questo eccesso di ioni idrogeno (sotto forma di NADH+H+).
Nello specifico, questi vengono generati dalla glicolisi durante la formazione di 1,3-bifosfoglicerato a partire da gliceraldeide 3-fosfato; questo flusso di elettroni, non potendo essere ossidato dall’ossigeno, “torna su” e si lega temporaneamente al piruvato (che fa in un certo senso le veci dell’ossigeno), il quale viene ridotto ad acido lattico. Parliamo in questo caso di glicolisi anaerobica.
Senza l’ingombro da parte dell’eccesso di elettroni, la fosforilazione ossidativa può continuare a fornire energia. Allo stesso tempo, gli equivalenti riducenti (NADH+H+) si sono liberati degli elettroni e sono stati ossidati a NAD+, motivo per cui la glicolisi può continuare, consentendo di prolungare lo sforzo fisico per un altro po’ di tempo, finché il lattato non raggiunge livelli tali da non consentire che la rigenerazione dell’ATP avvenga alla stessa velocità del suo utilizzo.
Si instaura la fatica, il rendimento della prestazione diminuisce e sei costretto ad interrompere l’esercizio, o quantomeno a ridurne l’intensità.
In particolare, l’aumento dell’acidità intramuscolare inattiva vari enzimi coinvolti nel trasferimento di energia, diminuendo quindi la capacità contrattile del muscolo. Come spiegherò più avanti, l’acidità non è l’unica, e nemmeno la più importante, causa della fatica muscolare.
Perché l’acido lattico fa male? Quanto tempo dura?
L’acido lattico non fa male: è la glicolisi la vera responsabile dell’aumento dell’acidità intracellulare (aumento di ioni H+); anzi l’acido lattico quasi quasi ci fa un favore perché è il prodotto del “tamponamento” effettuato dal piruvato che si fa carico di questi protoni, riducendosi.
Il lattato accumulatosi può uscire dalla cellula tramite un trasportatore apposito (MCT4, trasportatore dei monocarbossilati, isoforma 4) che lo rilascia nel circolo sanguigno: da qui può giungere ad altri organi (fegato, cuore, muscolo, rene) o entrare nelle cellule muscolari di tipo I vicine, le quali catalizzano la reazione inversa della fermentazione producendo piruvato. Il piruvato, in condizioni aerobiche, viene ossidato nel ciclo di Krebs.
L’accumulo di acido lattico in seguito ad esercizio fisico intenso permane per circa 30-60 minuti nel sangue e 60-120 minuti nel muscolo; dopo tali tempistiche le concentrazioni si riducono. Per questo motivo questa molecola non può essere responsabile dei DOMS (Delayed-onset muscle soreness, dolori muscolari ad insorgenza ritardata).
Cosa fare per far andare via l’acido lattico? Rimedi
Dopo aver ridotto, a causa della fatica, l’intensità dell’esercizio o durante il recupero, l’ossigeno torna nuovamente disponibile per accettare gli elettroni non più in eccesso, per cui il NAD+ “ripulisce” il lattato dagli idrogeni, diventando NADH che verrà poi ossidato nella catena di trasporto per produrre ATP. Inoltre, come accennato precedentemente, il lattato ha diversi destini che lo portano ed essere convertito in substrati energetici, risultando quindi un prezioso “prodotto di scarto”.
Sembrerebbe che il nostro organismo sia perfettamente in grado di rimuovere questo sottoprodotto in maniera autonoma, e così è; esistono però delle situazioni in cui si può accelerare la rimozione di questa sostanza, per velocizzare il recupero da un allenamento, in vista del successivo.
Nel caso di un lavoro svolto a ritmo costante con poco accumulo di lattato (consumo di ossigeno inferiore al 55-60% della VO2 max), le procedure passive facilitano il recupero, in quanto qualsiasi esercizio supplementare serve soltanto ad elevare il metabolismo totale e a far aumentare il tempo di recupero.
Quando invece l’esercizio è condotto a intensità superiore rispetto al ritmo costante, la formazione del lattato nel muscolo supera il suo tasso di rimozione, accumulandosi nel sangue. In questo caso un esercizio aerobico durante il recupero accelera la rimozione di tale sostanza dal sangue: nello specifico sono consigliate intensità tra il 30 e il 45% nel caso del ciclismo oppure dal 55 al 60% nel caso della corsa.
Acido lattico, muscoli e allenamento
L’acido lattico viene spesso additato come causa dei dolori muscolari dopo un allenamento intenso; in realtà si tratta dei dolori muscolari ad insorgenza ritardata, che nulla hanno a che vedere con questa molecola che, come mostrato precedentemente, viene rimossa entro due ore.
Tuttavia, è anche vero che l’acido lattico è responsabile della sensazione di bruciore intenso che proviamo durante sforzi glicolitici intensi, specialmente se eseguiti all’improvviso (si parla in questi casi di paralisi da lattato).
Comunque, questa molecola non è la sola responsabile della fatica, e neanche la più importante, anche perché, come già accennato, può essere riversata nel sangue e raggiungere altri organi che provvedono a “riciclarlo”, ad esempio il fegato tramite il ciclo di Cori.
Inoltre, il nostro organismo è in grado di regolare l’equilibrio acido-base tramite i sistemi tampone (fosfati, proteine, bicarbonato), i polmoni e i reni, per cui il problema dell’acidità indotta da tale sostanza non si pone.
Pertanto, l’attenzione va spostata verso altre cause della fatica che sono state individuate nell’accumulo di ioni fosfato (Pi) conseguente alla deplezione dei fosfati ad alta energia (ricordo che lo ione fosfato è implicato nel meccanismo di contrazione muscolare) e nell’esaurimento del glicogeno muscolare.
Un ulteriore punto a favore dell’acido lattico è rappresentato dal suo ruolo a livello del sistema nervoso centrale: un incremento del livello periferico di lattato è stato associato ad un aumento del BDNF, una neurotrofina responsabile dell’apprendimento e della memoria.
Bibliografia
Fisiologia applicata allo sport. Aspetti energetici, nutrizionali e performance – MacArdle, Katch, Katch
Fisiologia umana. Un approccio integrato – Silverthon
Autore: Andrea Barone
Laurea Magistrale in “Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana” (prossimo all’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di biologo nutrizionista) e Laurea Triennale in “Scienza della Nutrizione”.
Invictus Trainer che esercita da circa 4 anni l’attività di personal trainer, con l’obiettivo di migliorare la composizione corporea dei suoi clienti e correggere le loro abitudini alimentari. Aspira a crescere professionalmente nel settore sportivo agonistico in qualità di preparatore atletico e/o personal trainer curando parallelamente l’aspetto nutrizionale degli atleti.