Chiarimenti e incomprensioni sull’intensità nell’esercizio con i pesi. (Parte 2)
Per iniziare leggi la prima parte
Numero di ripetizioni vs. numero di ripetizioni massime (RM)
Uno dei più grandi equivoci più volte presenti nella trattazione dell’intensità o del numero di ripetizioni, è quello di non riconoscere la differenza tra il numero di ripetizioni e il numero di ripetizioni massime (RM). Nella programmazione degli allenamenti di fitness e bodybuilding infatti non viene mai specificato se il numero di ripetizioni segnalato faccia riferimento al numero di ripetizioni massime eseguibili (RM, cioè al cedimento muscolare), oppure ad un numero di ripetizioni non a cedimento (nel gergo italiano, buffer). Questa imprecisione nella programmazione dell’allenamento di fatto impedisce l’individuazione dell’intensità, in quanto essa per essere stabilita necessita di raggiungere il cedimento muscolare con un dato carico per verificare il numero di ripetizioni massime (RM) possibili. Questo si traduce in una programmazione dell’allenamento inaccurata. Questo problema naturalmente non tocca il neofita, per il quale anche la bassa intensità potrebbe bastare per stimolare al massimo gli adattamenti muscolari[42][37], ma piuttosto il soggetto intermedio o più esperto, per il quale il monitoraggio delle variabili assume un’importanza sempre maggiore. L’errore in cui si potrebbe incappare potrebbe essere quello di considerare le ripetizioni compiute a serie come indicatore dell’intensità a prescindere dal carico utilizzato. Al contrario, è il carico (correlato ad un preciso numero di RM) l’indicatore dell’intensità, a prescindere dal fatto che vengano o non vengano eseguite le massime ripetizioni possibili.
Ad esempio, un classico 3 x 10 segnato su una scheda di allenamento non è un’indicazione sufficiente.
– 10 ripetizioni potrebbero essere a cedimento (10-RM), e quindi richiederebbero l’utilizzo di un carico corrispondente ad un’intensità del 75% 1-RM;
– 10 ripetizioni potrebbero essere in buffer (non a cedimento), e quindi richiederebbero l’utilizzo di un carico che permette più di 10-RM. In questo caso, non raggiungendo il cedimento, e quindi il numero di RM, non è possibile stimare l’intensità relativa al carico utilizzato, ma sicuramente esso farà riferimento ad un livello inferiore al 75% 1-RM (10-RM).
Tradotto, pur essendo il numero di ripetizioni a serie identico nei due esempi, nel primo caso l’atleta si allena con carichi relativi ad un’intensità superiore rispetto al secondo caso. Il maggiore carico usato nel primo caso si riflette in un generale aumento del volume di allenamento, parametro dipendente anche dal carico utilizzato[6]. Ciò può essere piuttosto importante, dal momento che, come si è detto in precedenza, carichi inferiori al 65% 1-RM (circa 15-RM) verrebbero giudicati generalmente insufficienti per stimolare l’ipertrofia nel soggetto allenato[19] (come si è visto, una teoria in realtà oggi molto discussa in ambito scientifico[20][21]). Se quindi un atleta esegue 10 ripetizioni in buffer con un carico inferiore al 65% 1-RM (che gli permetterebbero più di 15-RM), il massimo stimolo ipertrofico può essere teoricamente penalizzato. Allo stesso modo questo è importante anche nel contesto della forza massimale. Per i soggetti allenati il massimo sviluppo della forza si ottiene con carichi attorno al 80-90% 1-RM[42][37][19] (cioè 4-8 RM). Se un atleta esegue 4-8 ripetizioni in buffer con un carico che gli permetterebbe l’esecuzione di 10 o più ripetizioni (≤75% 1-RM), egli non si sta allenando nel “range di forza”, e il massimo sviluppo della forza viene penalizzato.
In conclusione, se l’intensità viene considerata un’importante variabile nella programmazione dell’allenamento, è altrettanto importante specificare nella scheda se il numero di ripetizioni segnalate in un dato esercizio risultano a cedimento (RM) o non a cedimento (buffer). Nel primo caso, l’intensità sarà ovviamente monitorabile in quanto riconoscibile in tempo reale in base al numero di ripetizioni eseguite nelle prime serie del primo esercizio. Nel secondo caso invece dovrà essere prima stabilita con dei test specifici. Non fare differenza tra un dato numero di ripetizioni a cedimento o in buffer rappresenta un approccio troppo semplicistico per la programmazione di un allenamento, giustificata per il soggetto neofita, ma non per il soggetto intermedio o avanzato.
Affaticamento progressivo
Un altro comune errore nell’individuazione dell’intensità, e quindi al numero di ripetizioni massime (RM), è quello di non considerare l’influenza dell’affaticamento[43]. L’affaticamento non è altro che la crescente manifestazione della fatica fisica – prevalentemente di natura metabolica e neurale – la quale si riflette su un crescente decremento delle prestazioni all’interno della seduta. L’affaticamento progressivo è dipendente da diversi fattori, come l’intensità stessa, il volume, e la densità (il rapporto tra tempo di recupero e time under tension). Un concetto fondamentale poco considerato dagli inesperti è che, all’interno di un gruppo di serie, il numero di ripetizioni massime (RM) per serie tende a ridursi progressivamente[43]. Ad esempio, con 60 secondi di recupero tra le serie, l’andamento delle ripetizioni massime può calare progressivamente da 10, 8 e 7-RM in 3 serie consecutive[44]. Questo significa che nei programmi tipici dell’ipertrofia, che normalmente prevedono recuperi tra le serie di 60-90 secondi[45], se lo sforzo viene portato al cedimento il numero di ripetizioni massime cala ad ogni serie. Con recuperi di 2 minuti il decremento del numero di ripetizioni è leggermente meno spiccato, risultando significativo dalla terza serie[46]. Nei programmi di forza massimale questo effetto è ancora meno pronunciato, grazie a tempi di recupero tra le serie più lunghi[47], tra 3 e 5 minuti, che permettono un maggiore recupero e mantenimento della forza[45].
Quello dei tempi di recupero è solo uno dei vari esempi possibili per far capire quanto influisca l’affaticamento progressivo sulla prestazione all’interno della seduta. Il messaggio fondamentale, è che il numero di RM varia a seconda del momento in cui le si compie. Se si parte all’inizio della seduta nel pieno della forza, un dato carico permetterà il compimento del reale numero di ripetizioni massime a cedimento (RM). Tuttavia, se si solleva lo stesso carico nella terza o quarta serie, o negli esercizi successivi, il numero di RM sarà naturalmente inferiore a quello possibile da non affaticati[43]. Il problema fondamentale riguarda soprattutto i programmi di bodybuilding e fitness, che normalmente prevedono split routine con vari esercizi per lo stesso gruppo muscolare. Se si ritiene l’intensità come un’importante variabile dell’allenamento, è importante anche tenere presente che più serie ed esercizi per lo stesso muscolo vengono eseguiti all’interno della sessione, e più la stima delle RM, e quindi dell’intensità, viene falsata man mano che si continua l’allenamento[43].
Come è stato precedentemente specificato, un classico programma di bodybuilding prevede più spesso l’utilizzo di carichi relativi alla moderata intensità (70-85% 1-RM, o 6-12 RM), cioè nel cosiddetto “range ipertrofia”[21]. Questo lascerebbe presupporre che tutti gli esercizi scelti all’interno di una sessione con i pesi per l’ipertrofia debba prevedere l’uso di carichi che rientrano in questo range. Per quanto tale presunzione risulti in realtà incorretta (come è stato visto in precedenza), in questa sede sarà utile fare un esempio per facilitare la comprensione. Un atleta imposta un programma di allenamento per il petto con un totale di 4 diversi esercizi da 3 serie l’uno, tutti con un’intensità moderata (8-12 RM). L’atleta decide di portare tutte le serie al cedimento, facendo in modo che ogni esercizio gli consenta di raggiungere, almeno nella prima serie di ogni esercizio, il range moderato di 8-12 RM. Nella prima serie del primo esercizio l’atleta esegue le 12 ripetizioni a cedimento usando un carico relativo alle 12-RM effettive (70% 1-RM). Il numero di ripetizioni a cedimento va sempre riducendosi fino alla terza e ultima serie del primo esercizio. Arrivato al secondo esercizio, l’atleta accusa uno stato di pre-affaticamento che lo porterà a raggiungere il range moderato con un carico inferiore a quello che avrebbe usato da non affaticato. Ciò significa che per raggiungere questo numero di ripetizioni, egli dovrà usare un carico che non corrisponde più alla moderata intensità, ma più facilmente alla bassa intensità. Questo processo continua man mano che l’affaticamento progressivo si manifesta, fino all’ultimo esercizio. Per tanto, l’aspetto sull’intensità che non viene mai considerato nelle linee guida, è che essa è veramente monitorabile solo nelle prime serie del primo esercizio per un gruppo muscolare, ma non per i successivi[43]. Anche se nel secondo o terzo esercizio si continuano ad eseguire 8-12 ripetizioni massime, il carico utilizzato sarà sempre inferiore a quello che corrisponde veramente alle 8-12 RM (65-80% 1-RM), risultando facilmente a bassa intensità, e non più a moderata intensità.
Speed of movement
Lo speed of movement o tempo è una delle diverse variabili “secondarie” nella programmazione dell’esercizio con i pesi. Come ho già scritto su Wikipedia, essa “rappresenta la velocità delle singole ripetizioni nelle varie fasi della ripetizione stessa durante una serie“[48]. In altre parole, esso indica la velocità con cui vengono compiute le singole ripetizioni all’interno di una serie. Inoltre, lo speed of movement tiene conto anche delle diverse velocità con cui vengono compiute le 4 fasi di una ripetizione dinamica, ovvero: fase eccentrica, sosta isometrica in posizione allungata, fase concentrica, sosta isometrica in posizione accorciata. Dilungarsi troppo sullo speed of movement non è importante in questa sede, e per chi volesse approfondire il concetto può consultare il mio scritto su Wikipedia[48] così come moltri altri sul web. Ciò che bisogna invece evidenziare, è che variare la durata delle singole ripetizioni altera il numero di ripetizioni massime (RM) a parità di carico utilizzato. Questo significa che a parità di carico, più le ripetizioni sono lente e meno RM riescono ad essere compiute[49][50]. Per quanto tale constatazione risulti piuttosto scontata, questo aspetto non risulta essere mai considerato, almeno esplicitamente, come fattore condizionante le stime dell’intensità in base al numero di RM compiute con un dato carico. Anche importanti testi, quando descrivono il metodo per stimare l’intensità mediante i range di ripetizioni o “RM target zone“, evidentemente danno per scontato che questa stima debba essere ricavata usando uno speed of movement spedito e standardizzato, e non rallentato o alterato. Riflettendoci, se l’obiettivo di un atleta è scoprire quante più ripetizioni riuscirà a compiere con un dato carico, sicuramente non rispetterà un andamento anche solo leggermente rallentato, perchè questo si rifletterebbe su una riduzione delle RM possibili. D’altro canto, il test delle RM intuitivamente non verrebbe compiuto nemmeno con ripetizioni troppo esplosive, cioè di potenza, perchè queste rappresenterebbero l’esasperazione della velocità oltre gli standard. A questo punto si potrebbe far presente che anche se il test “RM target zone” viene eseguito appositamente per stimare l’intensità rispettando dei precisi criteri, non per questo l’andamento delle ripetizioni debba rimanere standardizzato anche durante l’allenamento vero e proprio. Effettivamente bisognerebbe distingure le RM eseguite tramite il test apposito per stimare l’intensità, dalle RM eseguite durante una serie di un allenamento, dove l’eventuale e ricercato rallentamento delle ripetizioni (oltre all’affaticamento progressivo), falserebbero non poco questa stima. Un esempio che prende in considerazione l’influenza dello speed of movement a questo punto è d’obbligo:
– un atleta esegue l’apposito test “RM targe zone” riuscendo ad individuare il carico specifico che gli permette di eseguire 10 ripetizioni massime (10-RM), cioè al cedimento muscolare, con forze fresche. In questo caso l’andamento delle ripetizioni potrebbe essere definito come “standardizzato” o “normale”, nel senso che egli non si imporrà si regolare lo speed of movement con una particolare velocità, come potrebbe essere per l’allenamento per la potenza (come nel weightlifting) oppure con le ripetizioni eccentriche enfatizzate (come viene promosso più spesso nel bodybuilding). In questo caso, la durata indicativa di un andamento “standardizzato” potrebbe corrispondere a 1 secondo a ripetizione, in quanto l’obiettivo dell’atleta è appunto quello di riuscire a compiere più ripetizioni possibili. Se l’atleta rispetta questo andamento, il numero di RM consente di risalire alla stima dell’intensità, che per 10-RM corrisponde indicativamente al 75% 1-RM.[14]
– durante una sessione di allenamento, partendo da non affaticato, l’atleta esegue il primo esercizio con un carico che gli permette di compiere 10-RM, ma con un classico andamento “controllato” con eccentriche leggermente enfatizzate, come viene più spesso promosso nel bodybuilding e nel fitness. La durata di una ripetizione dura 3 secondi, cioè il triplo dell’andamento utilizzato nel test apposito precedentemente descritto. Questo rallentamento delle ripetizioni avrà l’effetto di ridurre notevolmente le RM rispetto a quelle possibili con un andamento più spedito e appunto “standardizzato” come nel test. Di conseguenza, anche se l’atleta ha eseguito 10-RM (cedimento), il carico utilizzato non corrisponde ad un’intensità (stimata) del 75% 1-RM, ma bensì a un valore inferiore.
Il messaggio fondamentale, è che non si può individuare la stima dell’intensità in base alle RM compiute, se queste vengono eseguite con uno speed of movement modificato e alterato rispetto agli standard. Nonostante 10-RM corrispondano al 75% 1-RM[14], queste stime non hanno valore se le 10-RM vengono compiute con ripetizioni eccentriche o con un andamento generalmente rallentato e controllato. Ad esempio, 10 RM eseguite con un andamento di 4 secondi ciascuna imporranno l’uso di un carico corrispondente alla bassa intensità, e non alla moderata intensità.
Range of motion (ROM)
Un ulteriore aspetto che può falsare la stima delle RM possibili, e quindi l’individuazione dell’intensità, e il range of motion (ROM) o l’arco di movimento degli esercizi. Come l’affaticamento progressivo e lo speed of movement, anche il ROM percorso deve essere considerato come variabile in grado di alterare il numero di RM possibili. In alcuni casi, un ROM più ampio potrebbe permettere di eseguire più RM, mentre in altri, potrebbe permetterne di meno. Per comprendere meglio perchè ciò avvenga, è necessario citare qualche cenno di biomeccanica.
Il concetto di moment arm o torque (tradotto come “coppia”, “momento” o “momento torcente”) indica, in termini molto semplificati, la differente distribuzione della forza o della tensione muscolare lungo il ROM percorso. La forza prodotta dai muscoli reponsabili della contrazione infatti non è costante, ma differisce in base all’angolo specifico del ROM. Ai pesi liberi, il moment arm viene massimizzato quando il segmento in movimento raggiunge la linea orizzontale rispetto al suolo. In termini più semplici, significa che il sovraccarico, lo stress e la forza prodotta dal muscolo raggiungono il picco nella parte del ROM in cui il segmento mobilizzato è in prossimità dell’orizzontale. Viceversa la forza prodotta diminuisce man mano che il segmento si avvicina alla posizione verticale[51]. Negli esercizi ai cavi la distribuzione delle forze avviene in maniera differente a causa dell’indipendenza dalla forza di gravità; il picco della forza si verifica quando il segmento in movimento forma un angolo di 90° con il cavo risultando perfettamente perpendicolare[51]. Un esempio facile da comprendere potrebbe essere rappresentato dalle alzate laterali: ai pesi liberi il deltoide esercita la maggiore forza quando il braccio è completamente abdotto in orizzontale, mentre la tensione si riduce man mano che il braccio si abbassa, fino ad essere annullata quando esso raggiunge la posizione completamente addotta in verticale. Ai cavi invece, la tensione muscolare è massima quando il braccio si trova a circa metà del ROM, al livello in cui si posiziona perfettamente perpendicolare rispetto al cavo (angolo di 90° tra arto superiore e cavo).
A questo punto si può capire che gli esercizi ai pesi liberi in cui il ROM del segmento mobilizzato non si avvicina mai alla posizione verticale pongono un maggiore lavoro e una maggiore tensione continua rispetto a quelli in cui una parte del ROM prevede che il segmento raggiunga il verticale. Se si praticano le alzate laterali con manubri fermando il movimento prima che le braccia siano addotte lungo i fianchi (ad esempio a 45°), il lavoro e la fatica possono essere maggiori che non raggiungendo la piena adduzione delle braccia. In questo caso, la riduzione del ROM può causare un decremento delle RM possibili a parità di carico.
In altri casi, a penalizzare il numero di RM possibili è invece l’aumento dell’ampiezza del ROM. Ad esempio, lo squat può essere praticato in maniere differenti a seconda dell’ampiezza del ROM. Lo squat parallelo prevede un ROM più ridotto rispetto allo squat accosciato. Nel primo caso, essendo il ROM più breve, a parità di carico le RM possibili saranno maggiori che non con lo squat accosciato. Ma nello squat, più il femore si avvicina al verticale e più è attenuata la tensione sui muscoli agonisti (quadricipiti e glutei), fino ad essere praticamente annullata nel picco della fase concentrica, cioè in posizione eretta e in blocco articolare (lock out). Questo è ancora connesso con il moment arm, che raggiunge il suo minimo quando il principale segmento mobilizzato (femore) è in posizione verticale, ma che raggiunge il suo picco quando il femore è in prossimità dell’orizzontale. Quindi, anche evitare di raggiungere la posizione completamente eretta nel picco della fase concentrica con lo squat può produrre un ulteriore stress e un lavoro muscolare continuo, che si traducono potenzialmente in un decremento delle RM a parità di carico utilizzato.
Poichè il range di movimento degli esercizi può essere modificabile, è necessario considerare la correlazione tra il carico e il ROM specifico utilizzato per stabilire l’intensità. Se a parità di carico le RM possibili variano a seconda del ROM specifico, per stimare l’intensità mediante le RM eseguite bisogna tenere conto che il test ha una validità solo in rapporto al ROM specifico percorso. Sullo stesso esercizio, un range di movimento più limitato non può essere paragonato a un range di movimento più ampio. Ad esempio, non sarebbe corretto misurare l’intensità sullo squat parallelo con un test RM, e ritenere valide queste stime anche per lo squat accosciato.
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Note sull’autore:
Lorenzo Pansini nasce a Trieste nel 1988. Oltre a praticare da un decennio bodybuilding natural amatoriale, consegue i titoli di Personal Trainer, Istruttore di fitness e bodybuilding, e partecipa a diversi seminari presso lo CSEN-CONI. Da diversi anni autopromosso come gestore e principale contributore nel progetto fitness e bodybuilding su wikipedia, è autore di centinaia di articoli sulla nota enciclopedia online inerenti al bodybuilding, al fitness, e ad argomenti correlati come l’alimentazione, la supplementazione e la fisiologia. Uno dei suoi principale obiettivi come autore, è quello divulgare informazioni aggiornate, complete e rigorosamente su base scientifica sfatando i dogmi, i falsi miti e i luoghi comuni molto diffusi nell’ambiente fitness e bodybuilding, tramite analisi critiche e oggettive fondate solo su una ricca bibliografia scientifica.”
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