Conflitto subacromiale della spalla: cause e rimedi
Non c’è dubbio, l’Impingement subacromiale è la sindrome relativa alla spalla più famosa in palestra. Provando a digitare su internet “dolore alla spalla” verrai immediatamente travolto da un’ondata di articoli che trattano l’argomento. Tuttavia in questi anni le conoscenze sono progredite e alcune certezze hanno iniziato a vacillare. Nell’articolo di oggi, quindi, cercheremo di capire cosa sia realmente l’impingement subacromiale, ma soprattutto vedremo le principali cause, i migliori test per individuarlo e i migliori esercizi per liberarsi dal dolore.
Cos’è la sindrome da conflitto subacromiale?
Se volessimo dare una definizione scolastica di impingement subacromiale dovremmo dire che si tratta di un “conflitto”, di uno “schiacciamento” del tendine del sovraspinato contro l’acromion. La riduzione dello spazio subacromiale e il continuo sfregamento del tendine sull’osso sarebbero quindi le cause principali di dolore alla spalla.
In sostanza, durante alcuni movimenti considerati “pericolosi”, uno su tutti il sollevamento del braccio associato ad un’intrarotazione, si crea una situazione anomala per cui il tubercolo maggiore dell’omero rimane orientato verso l’acromion, comprimendo le strutture che si trovano in mezzo. I malcapitati sono proprio il tendine del sovraspinato e la borsa subacromiale.
In palestra, questo movimento anomalo viene eseguito, per giunta sotto carico, in esercizi famosi come le tirate al mento o le alzate laterali in intrarotazione. Apparentemente è un’assurdità sovraccaricare un movimento già di per sé pericoloso, con il rischio di aumentare drasticamente la pressione e l’attrito sui tessuti sottoacromiali. Il dolore da impingement infatti insorge sempre in modo lento e insidioso, atraumatico, proprio perché il contatto ripetuto con la volta acromiale danneggia progressivamente il tendine (tendinopatia).
In effetti questa è la descrizione di impingement più diffusa al giorno d’oggi. Il castello è stato costruito attorno a queste dinamiche e, a partire dagli anni ‘70, anche tutto l’impianto chirurgico si è basato su queste convinzioni, con interventi ad hoc per aumentare lo spazio subacromiale. Scavando più in profondità però, scopriamo che in molti casi il dolore si manifesta allenando esercizi come la panca piana, le dip alle parallele, la military press, tutti movimenti in cui in realtà non avviene un’intrarotazione netta, quindi l’impingement deve per forza avere altre dinamiche e non possiamo accontentarci di incolpare un esercizio o un movimento piuttosto che l’altro.
L’impingement esiste davvero?
Come riportato da alcuni autori, l’impingement subacromiale non sarebbe altro che un’illusione clinica [Lewis, 2011], una leggenda medica [Dhillon, 2019]. Cerchiamo di capire perché.
Se l’impingement fosse una sindrome reale, allora ci si aspetterebbe di trovare un danno al tendine sul versante acromiale (ovvero la faccia del tendine rivolta verso l’acromion) come segno dell’attrito e della compressione. La prima perplessità è che nella maggioranza dei casi, il danno tissutale si verifica invece sul versante omerale (ovvero la faccia del tendine che guarda verso la spalla) che niente ha a che fare con l’acromion. [Papadonikolakis, 2014]
Perplessità 2: la compressione dei tessuti subacromiali non avviene solo nelle spalle doloranti: ebbene sì, una naturale riduzione dello spazio subacromiale è prevista anche nelle spalle sane. In particolare, durante il sollevamente del braccio, la distanza tra testa dell’omero e acromion inizia a ridursi a partire da 30° raggiungendo il minimo intorno a 70°/80°, con lievi differenze tra il movimento di abduzione e flessione [Giphart, 2012].
Perplessità 3: la chirurgia e in particolare l’acromioplastica (un intervento in cui viene rimossa parte dell’acromion), dovrebbe essere quindi la via maestra per la risoluzione dell’impingement e del dolore. Tuttavia non solo non esistono evidenze di una superiorità della chirurgia rispetto alla riabilitazione tramite esercizi [Nazari, 2019], ma la rimozione dell’acromion può addirittura rendere instabile l’omero predisponendolo a migrare verso l’alto durante il movimento.
Perplessità 4: se l’impingement subacromiale fosse una sindrome distinta e indipendente, allora dovrebbero esistere segni clinici e “prove” evidenti che la contraddistinguano. Paradossalmente, con il progredire delle tecniche di imaging diagnostico si sono definite sempre di più altre condizioni (tendinopatia, tendinopatia calcifica, rottura parziale, rottura a tutto spessore della cuffia dei rotatori) mentre l’impingement è diventato sempre più “offuscato” e privo di solide evidenze.
Le vere cause dell’impingement
Indipendentemente dalla mitologia che sta dietro l’impingement, se in palestra si palesa dolore alla spalla le cause possono essere 5:
- Rigidità di spalla: In effetti la rigidità della capsula postero-inferiore non garantisce alla spalla la corretta libertà di movimento, causando una migrazione superiore della testa dell’omero potenzialmente lesiva [Bach, 2006]. La rigidità capsulare inoltre costringe la scapola a compensare perdendo stabilità. Anche la retrazione di alcuni muscoli come piccolo pettorale, gran pettorale, gran dorsale, è in grado di alterare la cinematica della spalla.
- Debolezza della cuffia dei rotatori: una delle principali funzioni della cuffia dei rotatori è quella di centrare correttamente la testa dell’omero all’interno della glena, un compito non propriamente facile vista la ridotta dimensione della concavità articolare. Ecco perché una debolezza della cuffia dei rotatori, sia extrarotatori che intrarotatori, può determinare uno scarso controllo della spalla e una risalita verso l’alto della testa omerale.
- Debolezza dei muscoli toraco-scapolari: romboidi, grandentato, trapezio medio e trapezio inferiore sono muscoli che hanno il compito fondamentale di stabilizzare la scapola fornendo una base solida alla cuffia dei rotatori. Hai mai provato ad eseguire uno squat su una pedana instabile? Il principio è lo stesso. Se la cuffia dei rotatori non ha una base solida su cui esprimere forza, non sarà in grado di stabilizzare correttamente la testa omerale. La debolezza dei muscoli toraco-scapolari gioca quindi un ruolo indiretto nella genesi del dolore. Anche l’ipercifosi contribuisce ad inibire questi muscoli alterando il posizionamento scapolare.
- Tecnica esecutiva scorretta: eseguire gli esercizi con una tecnica approssimativa ci espone ad un maggior rischio infortunio, rischio che è direttamente proporzionale al carico sollevato. Per quanto riguarda la spalla, la distinzione tra una tecnica corretta e una tecnica scorretta è determinata dalla stabilità scapolare. Se siamo in grado di controllare le scapole a nostro piacimento (propriocezione), allora la funzionalità della spalla sarà garantita. Viceversa, se non sappiamo attivare correttamente i muscoli toraco-scapolari, allora la spalla non godrà della stabilità necessaria.
- Eccessivo sovraccarico funzionale: anche a fronte di una tecnica perfetta, di muscoli forti e di mobilità adeguata non sei al riparo da tutti i rischi. Il dosaggio dei parametri allenanti è sempre una variabile potenzialmente pericolosa. Se imponi carichi eccessivi, volumi eccessivi e tempi di recupero inadeguati, i tendini della cuffia non riusciranno ad adattarsi agli stimoli e inizieranno progressivamente a degenerare (tendinopatia).
Tutto questo non vale solamente all’interno della palestra. Infatti, un’alterata cinematica della spalla in concomitanza con la ripetizione frequente di gesti lavorativi può portare all’insorgenza di dolore. Inoltre, patologie degenerative a carico dei tendini o dell’articolazione possono tranquillamente essere dovuti all’età: sono da interpretare quindi come naturali segni dell’invecchiamento.
Sintomi dell’impingement subacromiale
L’impingement è una condizione atraumatica, per cui il dolore insorge in modo lento, insidioso, senza una causa apparente. Il progresso dei sintomi è lineare e prevedibile. Possiamo suddividere la sintomatologia in 3 stadi.
Stadio 1: la prima sintomatologia viene descritta come un semplice fastidio presente durante l’esecuzione degli esercizi o nel post allenamento. L’insidia sta proprio qui, perché il fastidio passa inosservato ed è facile scambiarlo per un DOMS o per una normale sensazione di affaticamento. In questo modo non si interviene quando ancora sarebbe possibile arginare il problema.
Stadio 2: procedendo con gli allenamenti, il fastidio evolve e aumenta d’intensità fino a diventare una fitta profonda, situata anteriormente o postero-lateralmente alla spalla (è possibile anche una sua irradiazione verso il gomito). A questo stadio il dolore irrompe anche nel quotidiano, rendendo dolorosi movimenti come il sollevamento del braccio, le rotazioni e l’estensione di spalla. In palestra invece gli esercizi presentano il cosiddetto “arco doloroso”, tipico di questa sindrome, per cui una parte del movimento risulta dolorosa mentre la restante parte è priva di sintomi.
Nella panca piana e nelle dip alle parallele l’arco doloroso corrisponde alla primissima fase di spinta, quando l’omero è in estensione; nella military press il dolore compare a metà movimento, poco prima di raggiungere i 90° e poco dopo averli superati; è possibile che il dolore si presenti anche negli esercizi di tirata.
Stadio 3: continuare ad allenarsi sopra al dolore senza prendere alcuna contromisura porta inevitabilmente all’infiammazione dei tendini danneggiati, oltre che ad un ulteriore peggioramento dell’integrità tissutale. In questo caso saranno presenti i sintomi tipici come forte dolore a riposo, dolore notturno che interrompe il sonno, limitazione importante della forza e della mobilità, rossore e gonfiore a livello della spalla.
Potremmo considerare la cronicizzazione come eventuale stadio 4. Il dolore infatti tende a cronicizzarsi se tentiamo di ridurlo solo con il riposo e se riprendiamo le medesime attività pre-infortunio (palestra o lavoro) senza prima indagare le cause.
Quali sono i tempi di recupero?
Per quanto riguarda i tempi di recupero, molto dipenderà dalle nostre azioni. Anche qui la guarigione può suddividersi in 3 fasi.
Fase infiammatoria: questa è l’unica fase in cui siamo più spettatori che attori. Infatti, la riduzione al minimo dei movimenti della spalla e il riposo sono le uniche soluzioni disponibili, e potremo fare ben poco per velocizzare il processo (se non ricorrere ai classici impacchi di ghiaccio o agli antinfiammatori FANS, che però non ripareranno i nostri tendini più in fretta). In genere dobbiamo aspettarci che l’infiammazione duri almeno 2-5 giorni.
Fase di riparazione: una volta conclusa l’infiammazione e una volta sparito il dolore a riposo, è necessario iniziare subito un percorso di esercizi riabilitativi per supportare la guarigione del tendine e per eliminare definitivamente il dolore, che può ancora presentarsi durante il movimento. Se il piano riabilitativo è solido, la problematica può risolversi in 1-3 mesi (a seconda della gravità del danno).
Fase di prevenzione: quando il dolore scompare anche sotto carico siamo ufficialmente in fase di prevenzione. Attenzione però, questo non significa essere esenti da tutti i rischi, anzi, per evitare di cadere in recidive è necessario continuare a lavorare sui punti deboli. Non si può dire di aver fatto un recupero completo se non si è portato avanti questa fase per almeno 3-6 mesi.
Diagnosi conflitto subacromiale: test efficaci
Abbiamo a disposizione numerosi test, facili e veloci da somministrare, anche in autonomia, con i quali possiamo farci però solo un’idea sulla presenza o meno di una problematica alla spalla. Infatti i test di evocazione del dolore possono essere sensibili ma in genere non godono di una specificità molto alta [Michener, 2009]. Più che altro, alla luce delle perplessità emerse negli ultimi anni, ci si chiede se questi test possano davvero discriminare l’impingement da altre sindromi più riconosciute (tendinopatie, rotture parziali o complete dei tendini, borsiti, ecc.)
Sensibili ma non specifici? Cosa significa? “Sensibile” vuol dire che il test evoca dolore, ci dice che effettivamente c’è un problema alla spalla. “Non specifico” significa che il test non ci dice con esattezza quale sia questo problema. Potenzialmente, tutte le problematiche di spalla che abbiamo citato fino ad ora possono restituire una positività a questi test, rendendo difficile individuare il tessuto lesionato.
Ma ci interessa davvero sapere con precisione quale sia il tessuto colpito? In realtà no, semplicemente perché il percorso riabilitativo si concentrerà sul recupero dei deficit riscontrati, come debolezze, rigidità e movimenti dolorosi. Conoscere esattamente il nome del muscolo colpito (sovraspinato piuttosto che infraspinato o sottoscapolare, ecc.) non può darci indicazioni utili sugli esercizi da assegnare; sarà ad esempio il dolore in extrarotazione, o la rigidità in intrarotazione a suggerire gli esercizi per la riabilitazione.
I test di evocazione del dolore, quindi, devono essere somministrati non con l’intento di individuare con precisione il tessuto leso, ma con il fine di capire quali siano i movimenti dolorosi e quali siano gli angoli più critici. Di seguito alcuni esempi.
Test di Hawkins-Kennedy
Test di Neer
External Rotation Resistance Test 1:
External Rotation Resistance Test 2:
Speed test
I test di Hawkins-Kennedy e Neer in genere tendono a dare sempre una positività in caso di problematica al sovraspinato (extrarotatori in generale), quindi possono essere proposti indistintamente.
I due External Rotation Resistance test ci permettono di capire a quale angolo si evidenzia maggiormente il dolore o la debolezza degli extrarotatori (0° / 90°), e sono utili per proporre un rinforzo a quell’angolo specifico. Per valutare l’intrarotazione è sufficiente invertire il punto in cui applichiamo la resistenza.
Lo speed test invece gode di una specificità più alta in quanto attiva in maniera importante il capo lungo del bicipite. In caso di una sua lesione, il dolore viene evocato nella zona anteriore della spalla, permettendoci con buona probabilità di escludere una lesione della cuffia dei rotatori.
Esercizi per il conflitto subacromiale della spalla
Paradossalmente, il riposo prolungato rallenta la guarigione e predispone alle recidive, in quanto i muscoli e i tessuti periarticolari tenderanno ulteriormente a indebolirsi e a irrigidirsi. L’esercizio fisico è senza dubbio il rimedio migliore, in grado di eguagliare se non addirittura superare gli esiti della chirurgia. Comunque, se vi siete fatti male una volta facendo panca piana state tranquilli che la chirurgia non è di certo la soluzione per voi. L’esercizio funziona non solo nei casi più lievi, ma anche nei casi più gravi ha dimostrato di ottenere effetti sorprendenti.
Un percorso di riabilitazione che si rispetti deve mirare a risolvere tutte le possibili cause di impingement, anche quelle indirette. La tipologia e l’intensità degli esercizi dipenderà molto dallo stadio dei sintomi.
Nei primi giorni post-infiammazione, il range di movimento sarà ancora piuttosto limitato a causa del dolore. È necessario quindi optare per esercizi di mobilizzazione che, in modo del tutto passivo, permettano di ampliare la mobilità e ridurre il dolore. Le mobilizzazioni non vanno confuse però con lo stretching: si tratta infatti di movimenti ritmici che prevedono di arrivare a fine range, fermarsi un istante nel punto in cui viene evocato dolore, e tornare indietro. Ad ogni ripetizione il dolore dovrebbe rilasciarsi aumentando la mobilità. Va assolutamente evitata la forzatura: se il vostro braccio non sale oltre i 120°, quello è l’angolo su cui dovete lavorare.
Mobilizzazione Abduzione: 3×15
Mobilizzazione Extrarotazione: 3×15
Gli esercizi di rinforzo per la cuffia dei rotatori (extrarotazioni e intrarotazioni) sono decisamente gli esercizi di riabilitazione più famosi. Fateci caso, ogni volta che entrate in palestra c’è sempre qualcuno ai cavi o agli elastici che li sta facendo. Innanzitutto, scegliamo un peso (nelle prime fasi può anche essere molto basso, 500g o 1 kg) che permetta una certa quantità di movimento senza provocare dolore; il movimento deve essere lento, ci interessa un lavoro di qualità, e una volta raggiunto il finecorsa, ovvero quando il dolore inizia a incrementare, effettuiamo un fermo (2-3 secondi) e torniamo indietro con un’eccentrica lenta.
La cosa più importante qui è la progressione: il range di movimento e il dolore devono migliorare di allenamento in allenamento. Possiamo pensare di aumentare il carico o di variare l’angolo di lavoro nel momento in cui l’esercizio è quasi totalmente libero dal dolore. Ad esempio, se abbiamo iniziato con il gomito contro il fianco, possiamo progredire eseguendo le rotazioni con la spalla sollevata a 90 gradi.
Rinforzo extrarotatori sul fianco (difficoltà 1): 3×8
Rinforzo extrarotatori con spalla flessa a 90° (difficoltà 2): 4×10
Rinforzo intrarotatori con spalla flessa a 90° (difficoltà 1): 3×8
Rinforzo intrarotatori con spalla abdotta a 90° (difficoltà 2): 4×10
I muscoli toraco-scapolari sono soventemente riscontrati deboli nei casi di impingement, per cui è necessario prevedere un loro rinforzo non solo per aumentarne la forza effettiva, ma anche per imparare a controllarli selettivamente (propriocezione). Valgono le stesse considerazioni di prima: movimenti lenti, si effettua un fermo di qualche secondo sul dolore o sul finecorsa, e si torna indietro con un’eccentrica lenta. Questi esercizi attivano in maniera importante anche la cuffia dei rotatori.
Rinforzo romboidi – trapezio medio: 4×12
Rinforzo trapezio inferiore: 4×12
Rinforzo grandentato mezzo plank (difficoltà 1): 4×10
Rinforzo grandentato full plank (difficoltà 2): 4×10
Infine abbiamo lo stretching, un’arma potente che va utilizzata però con molta cura. Perché? Perché, in una prima fase, potrebbe essere difficile raggiungere i gradi più estremi per colpa del dolore e non per colpa della rigidità. Il rischio è quello di provocare il dolore senza tuttavia ottenere benefici. Esercizi famosi come lo sleeper stretch o il cross body stretch andranno praticati inizialmente come mobilizzazione per sciogliere il dolore, per essere poi promossi come stretching nel momento in cui subentra effettivamente la rigidità capsulare. Anche lo stretching per il gran pettorale, piccolo pettorale, gran dorsale (muscoli spesso riscontrati rigidi nei casi di impingement) deve essere assegnato quando i gradi estremi sono quasi totalmente liberi da dolore.
Cross Body Stretch a terra: 3x1m – intensità bassa
Sleeper Stretch: 3x1m – intensità bassa
Stretching piccolo pettorale, gran pettorale, gran dorsale: 3x1m
Schede di esempio
Scheda 1: primi giorni post-infiammazione
Eseguire la scheda almeno 5-6 volte alla settimana. Monitorare l’andamento dei sintomi: progredire con gli esercizi quando il dolore scompare dalla maggior parte del rom, oppure ridurre volumi e carichi se il dolore dovesse peggiorare.
GIORNO A | GIORNO B |
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Mobilizzazione abduzione
Extrarotatori sul fianco Intrarotatori spalla flessa 90° Rinforzo Romboidi – Trapezio medio Rinforzo Grandentato mezzo plank |
Extrarotatori sul fianco
Intrarotatori spalla flessa 90° Rinforzo Trapezio inferiore Mobilizzazione extrarotazione Mobilizzazione intrarotazione (sleeper stretch) |
Scheda 2: dolore intermittente
Eseguire la scheda almeno 4-5 volte alla settimana finché i sintomi non spariscono completamente durante gli esercizi.
GIORNO A | GIORNO B |
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Extrarotatori spalla flessa 90°
Intrarotatori spalla abdotta 90° Rinforzo Grandentato full plank Sleeper Stretch (stretching) |
Rinforzo Romboidi – Trapezio medio
Rinforzo Trapezio inferiore Cross Body Stretch Stretching Piccolo pettorale – Gran pettorale – Gran dorsale alla spalliera |
Conclusioni
Che l’impingement subacromiale sia una sindrome reale oppure no, poco importa. Nonostante i dubbi, tutto il castello relativo agli esercizi riabilitativi rimane in piedi, tanto che ad oggi sono la miglior soluzione disponibile anche per i casi più gravi. Quello che ci interessa davvero è risolvere il dolore e recuperare la funzionalità della spalla il più in fretta possibile, cosa che può avvenire solo dopo un’indagine scrupolosa delle cause.
L’insorgenza del dolore può farci credere di essere inadatti all’allenamento, di essere esclusi dal poter raggiungere determinati risultati: questo è un pensiero privo di fondamenta che può (e deve) essere sradicato. Come al solito, il divano non ha mai risolto nessun problema!
Bibliografia
- Lewis JS. Subacromial impingement syndrome: a musculoskeletal condition or a clinical illusion?. Physical Therapy Reviews. 2011
- Dhillon KS. Subacromial Impingement Syndrome of the Shoulder: A Musculoskeletal Disorder or a Medical Myth? Malays Orthop J. 2019
- Papadonikolakis A, McKenna M, Warme W, Martin BI, Matsen FA 3rd. Published evidence relevant to the diagnosis of impingement syndrome of the shoulder. J Bone Joint Surg Am. 2011
- Giphart JE, van der Meijden OA, Millett PJ. The effects of arm elevation on the 3-dimensional acromiohumeral distance: a biplane fluoroscopy study with normative data. J Shoulder Elbow Surg. 2012
- Nazari G, MacDermid JC, Bryant D, Athwal GS. The effectiveness of surgical vs conservative interventions on pain and function in patients with shoulder impingement syndrome. A systematic review and meta-analysis. PLoS One. 2019
- Bach HG, Goldberg BA. Posterior capsular contracture of the shoulder. J Am Acad Orthop Surg. 2006
- Michener LA, Walsworth MK, Doukas WC, Murphy KP. Reliability and diagnostic accuracy of 5 physical examination tests and combination of tests for subacromial impingement. Arch Phys Med Rehabil. 2009
Autore: Alessandro Scammacca, Personal Trainer Invictus
Le prime volte in palestra sono state un disastro: ho commesso tutti gli errori possibili, ho creduto a varie teorie broscience, mi sono infortunato più volte. La mia formazione personale inizia da qui, a 16 anni, quando guardavo video e leggevo articoli tutto il giorno per rimediare alla mancanza di logica negli allenamenti. Dopo il diploma ho puntato sull’Invictus Academy per dare conferma delle mie conoscenze, e tutt’ora i miei studi proseguono nel campo della postura, degli infortuni, della mobilità, con lo scopo di fornire ai miei clienti il miglior servizio possibile.