Cosa stimoliamo con lo stretching?
In questo articolo capiremo su cosa lavoriamo quando facciamo stretching, cosa andiamo a stimolare e come avvengono i meccanismi che portano all’allungamento muscolare.
Di Luga Corona
Negli articoli finora affrontati si è parlato spesso del perché facciamo stretching, ora affronteremo un’altra domanda che nel mondo del fitness risulta senza risposta, e spesso nemmeno pronunciata: cosa andiamo a stimolare quando facciamo stretching? (cosa succede?)
In generale se allunghiamo un muscolo andiamo a sviluppare delle forze sui “sarcomeri” (unità funzionali della fibra muscolare). I filamenti spessi e sottili si allontanano, mentre l’unica costante è la posizione delle catene miosiniche fra le due linee Z anche se il muscolo è in fase di allungamento. Tutto questo è consentito dalla “titina”, un particolare tipo di proteina che insieme alla connettina e alla nebulina stabilizzano il sarcomero sia per quanto riguarda la contrazione, sia per l’ allungamento.
Spesso quando si esegue una routine di stretching , di qualunque tipo, non riusciamo ad “allungarci” più di un tot, avvertiamo dolore. Questo il più delle volte non dipende dal muscolo, che non è “corto”, ma il “gap” in questo caso può essere dovuto al tessuto connettivo del quale è rivestito. Và detto che durante l’allungamento della fibra il “sistema fasciale”, che comprende aponeurosi, legamenti e tessuto connettivo entra in tensione. Quindi come detto questo difetto potrebbe incidere sull’obiettivo prefissato e cioè limitare la possibilità di allungamento muscolare. Troviamo casi di questo tipo soprattutto nelle persone sedentarie e anziane. Addirittura differenti studi hanno ipotizzato che la tensione e la rigidità muscolare in persone di questo tipo sia dovuta proprio alla titina. Nel sedentario e in età avanzata vanno a modificarsi inoltre elastina e fibre collagene, riducendo elasticità e aumentando invece la rigidità.
Con lo stretching (mettiamo il caso che sia di tipo statico per averlo bene in mente) vanno ad attivarsi i “fusi neuromuscolari” (recettori che scorrono paralleli alle fibre muscolari), i quali forniscono input sensoriali sul midollo spinale, rilevando le variazioni di allungamento muscolare e la velocità con cui questo si svolge. Gli assoni sensoriali Ia (i più grossi e veloci) a seconda dello stato muscolare, ricevono una scarica proveniente dai fusi. Quando il muscolo è stirato la frequenza di scarica tende ad aumentare, al contrario diminuisce quando si accorcia.
La fibra Ia e il motoneurone alfa che innerva il muscolo vanno a formare “l’arco riflesso di stiramento o riflesso miotatico monosinaptico”. Quando il vostro istruttore di fiducia vi dice di “molleggiare per far stirare il tendine” voi andate a stimolare inconsapevolmente questo riflesso, e il muscolo cosa fa al posto di allungarsi? SI ACCORCIA. Il riflesso può comunque adattarsi ed essere per cosi dire “aggirato” con precise tipologie di stretching.
I fusi sono maggiori nei muscoli fasici (quelli che bramiamo di avere enormi) che né nei muscoli posturali (tonici), perché c’è un maggior rischio che vadano incontro a lesioni in quanto maggiormente deputati al controllo dei movimenti volontari (e alle cazzate che si fanno in palestra e non). Inoltre ricevono segnali sia dal sistema nervoso centrale che per via afferente dall’ambiente in modo da monitorare costantemente lo stato di allungamento/accorciamento.
Ogni muscolo possiede una lunghezza standard, ogni variazione da quel punto viene efficacemente rilevata tramite l’assone Ia, però una modifica dei motoneuroni gamma può cambiare il punto fisso e quindi modificare il riflesso (questo è un adattamento che può essere dato dall’allenamento).
Il tutto riassunto nel “ciclo gamma” successivo ad una stimolazione e variazione di lunghezza:
Motoneurono gamma > Fibra intrafusale > Assone Ia > Fibra extrafusale.
I fusi non sono però gli unici addetti della propriocezione a livello muscolare. Esistono altri tipi di sensori, come ad esempio gli “organi tendinei del golgi”. Questi misurano l’entità della tensione tendinea e di riflesso quindi anche il livello di contrazione muscolare. Ed è proprio per questo motivo che vanno a trovarsi a livello della giunzione tra muscolo e tendine. Questi innervati da assoni di tipo Ib (più lenti e sottili degli Ia).
La differenza con i fusi è che gli organi tendinei scorrono in serie rispetto alle fibre. Gli assoni Ib a livello spinale possono causare impulsi inibitori su i motoneuroni alfa agenti sullo stesso muscolo. Da qui ha origine il riflesso miotatico inverso o riflesso spinale. Questo fa si che la tensione venga mantenuta entro un preciso range (variabile ovviamente a seconda dell’allenamento).
Se la tensione oltrepassa la soglia il motoneurone alfa rallenta la contrazione, quindi in teoria se andate a sollevare un peso di gran lunga più pesante rispetto alle vostre possibilità il sistema muscolare per proteggersi và quasi ad arrestare la contrazione. Questo lo si vede spesso nelle palestre, dove vediamo gente effettuare una panca piana o un lento da seduti ma a un certo punto il bilanciere rimane giù, e lo spotter (che spesso è lo stesso istruttore che l’ha incoraggiato a sollevare quel peso) deve soccorrerlo.
L’ultimo (ma non meno importante) fattore che andiamo ad analizzare è quello della “propriocezione articolare”.
Anche il connettivo presente a livello articolare possiede assoni propriocettivi, situati nelle capsule articolari che circondano le superfici articolari ossee e nei loro legamenti. La loro funzione è quella di rilevare le modifiche di angolo, velocità e direzione di un’articolazione.
C’è da dire che con lo stretching è possibile anche un aumento della soglia del dolore, andando ad incidere sui nocicettori, e quindi anche se il muscolo è in fase di allungamento, il dolore percepito sarà di entità minore rispetto agli allenamenti precedenti.
I sensori non danno singole informazioni a pacchetto su quello che percepiamo, ma le integrino fornendo informazioni riguardo orientamento del corpo e stato funzionale di questo.
In pratica tutti questi propriocettori ci danno informazioni sul “che cosa stiamo facendo”, il perché lo stiamo facendo invece “in teoria” lo dovremo già sapere.
Articolo di Luga Corona, laureato, allenatore, personal trainer, blogger. Se vi interessa la bibliografia dell’articolo contattatelo direttamene sul suo BLOG