Epitrocleite: cause, cure ed esercizi efficaci
L’epitrocleite, detta anche “gomito del golfista”, è una sindrome dolorosa dovuta generalmente ad una degenerazione dei tendini (tendinopatia) e di un sovraccarico funzionale dei muscoli flessori e/o pronatori del polso, con conseguente dolore nella zona interna del gomito. Questi muscoli, infatti, sono localizzati nella regione mediale (interna) del gomito e dell’avambraccio: originano dall’epitroclea omerale, si inseriscono sul polso e sulla mano ed hanno la funzione di flettere il polso e le dita, e di pronare l’avambraccio. L’epitrocleite è la seconda causa più comune di dolore al gomito (dopo l’epicondilite) ed è molto diffusa in coloro che si allenano in palestra e/o a corpo libero.
Numerosi sportivi e lavoratori sono infatti colpiti da questa patologia ogni anno, con sintomi al gomito che possono talvolta persistere, secondo la letteratura, anche per mesi o anni. C’è ancora molta confusione riguardo a quale sia la gestione ottimale di questo disturbo. Perchè avviene l’epitrocleite? Quali sono le cause e i rimedi? Per quanto tempo può durare? Come si può gestire un allenamento in palestra in presenza di epitrocleite? Cerchiamo di fare ordine, in modo da aprire la strada ad un piano di trattamento efficace.
Che cos’è l’epitrocleite? Definizione
L’epitrocleite (o “gomito del golfista”) è la principale causa di eptroclealgia, ossia di dolore localizzato nella zona mediale (interna) del gomito. Questa viene chiamata anche “tendinopatia mediale del gomito”, ed è essenzialmente una tendinopatia inserzionale dei muscoli flessori del polso e delle dita, e/0 dei muscoli pronatori dell’avambraccio, inseriti anatomicamente proprio a livello dell’epitroclea omerale.
Come per tutte le tendinopatie che possono affliggere il corpo umano, le cause possono essere ricercate in uno squilibrio funzionale tra gli stress imposti sulle strutture tendinee e muscolari, e la capacità di recupero dei tessuti stessi. Tali stress (del tutto fisiologici) sono dovuti ad una combinazione di forze tensive e compressive, generate dalla contrazione muscolare. In questo meccanismo rientrano eventuali predisposizioni individuali, errori nel dosaggio dell’allenamento, esercizi/movimenti particolarmente stressanti (stress in valgo sul gomito) e il sovraccarico associato alla vita di tutti i giorni.
L’epitrocleite colpisce più frequentemente l’arto dominante di soggetti tra i 35 e i 50 anni, (anche se è possibile riscontrarla in tutte le fasce di età) con un’incidenza leggermente più alta nel sesso maschile. Nello specifico, ne soffrono maggiormente soggetti che svolgono attività sportive o lavori manuali ripetitivi (come elettricisti, idraulici, macellai, carpentieri…), attività e mestieri il cui comune denominatore è rappresentato da sforzi prolungati o ripetuti che comportano la flessione del polso e delle dita e/o la pronazione dell’avambraccio associata ad una presa.
Nonostante il proprio nome questa patologia si riscontra spesso, oltre che nei golfisti, anche in altri sport come il tennis, allenamento con pesi, lancio del giavellotto, football americano, sport di lancio vari.
Cause dell’epitrocleite
Il dolore al gomito nel caso di epitrocleite è quindi generato da un sovraccarico funzionale eccessivo di questi muscoli impegnati nelle attività manuali lavorative e sportive nelle quali sono previsti movimenti ripetuti contro resistenza di flessione del polso e delle dita e pronazione dell’avambraccio. In contesto fitness lo stress funzionale in questione può essere dato anche dagli esercizi nei quali è coinvolta in maniera determinante una presa.
Solitamente i muscoli più coinvolti in questa patologia sono il flessore radiale del carpo e il pronatore rotondo, ma lesioni possono talvolta comprendere anche i muscoli palmare lungo, flessore superficiale delle dita e flessore ulnare del carpo.
La persistenza di tali forze stressanti e lesive per i tessuti interessati genera alla lunga alterazioni e degenerazioni tissutali che instaurano un circolo vizioso caratterizzato da dolore-immobilità-debolezza, il tutto amplificato anche da una possible ipersensibilità al dolore del sistema nervoso (specialmente nei casi di epitrocleite cronica).
In particolare è stato osservato che un aumento repentino e poco graduale dello stress imposto sui tessuti tendinei è spesso il fattore che innesca i processi tendinopatici, per cui la colpa non è tanto della quantità di stress imposto, ma più della gradualità con la quale questo viene inserito (i tessuti tendinei hanno infatti necessità di un fisiologico tempo di recupero tra un’attività stressante e la successiva per poter adattarsi allo stimolo).
Nonostante la definizione di “epitrocleite” lasci presupporre un quadro infiammatorio dei tendini interessati (il suffisso -ite richiama solitamente una natura patologica di tipo infiammatorio) è stato osservato come l’infiammazione non rappresenti il principale meccanismo patologico alla base di questa patologia, la cui causa risiede invece in fattori di natura degenerativa (brevi picchi infiammatori possono essere presenti in genere solamente nelle fasi iniziali del decorso).
Nell’epitrocleite l’inserzione dei muscoli epitrocleari subisce un particolare sovvertimento della struttura tendinea, chiamato “degenerazione angiofibroblastica”, che comporta uno scompaginamento delle fibre collagene (che compongono il tendine) ed una progressiva sostituzione di queste con un tessuto cicatriziale ricco di vasi.
Da un punto di vista microscopico, il sovraccarico meccanico ripetitivo causato da forze tensive e compressive causa un accumulo di macromolecole dette “proteoglicani” (molecole fortemente idrofile), che attraggono ad esse acqua, portando (insieme ad altri processi pato-degenerativi) al processo di degenerazione (o iperplasia) angiofibroblastica.
Tale fenomeno viene considerato un “dysrepair” (riparazione alterata) cellulare. L’aumento di proteoglicani attrae acqua dentro la matrice extracellulare (tra le fibre di collagene del tendine), la quale altera il collagene e i collegamenti fra i tenociti, provocandone una disorganizzazione spaziale. A questo meccanismo si aggiungono fenomeni di neovascolarizzazione (formazione di nuovi vasi sanguigni e nervi sensoriali): in sostanza, nuovi vasi sanguigni crescono in zone dove normalmente non sarebbero presenti, portando alla concomitante formazione di nuove fibre nervose sensoriali, in grado di trasmettere stimoli nocicettivi (dolorosi).
Questi nuovi vasi sanguigni prodotti in aree che normalmente sarebbero quasi avascolari non sono funzionali alla salute tendinea (sono definiti “iperpermeabili”, non sono cioè in grado di fornire ossigeno e sostanze nutritive necessarie per la riparazione e guarigione tendinea).
Altri processi patologici nei tessuti tendinei in questi casi sono la diffusione di aree di apoptosi (degenerazione) cellulare e l’aumento delle fibre collagene di tipo 3 (nella normalità i tendini sono composti prevalentemente da fibre collagene di tipo 1 con orientamento longitudinale, ottimali per la trasmissione di forza, mentre le fibre collagene di tipo 3 sono più disorganizzate e meno funzionali) con conseguente resistenza biomeccanica inferiore.
Fattori di rischio per l’epitrocleite
I fattori di rischio osservati dalla letteratura per l’insorgenza di epitrocleite sono i seguenti:
- Movimenti di polso in flessione-estensione e/o prono-supinazione ripetitivi per più di 2 ore al giorno
- Volume eccessivo di allenamento
- Quantità o eccessive velocità di progressione del carico, cambiamenti improvvisi o rapidi in quantità o tipo di carico
- Biomeccanica individuale (debolezza e/o alterazioni e squilibri muscolari, diminuzione della flessibilità)
- Fisiologico invecchiamento
- Alto BMI e ipercolesterolemia
- Diabete di tipo 2
- Fumo di sigaretta
- Problemi dismetabolici, alterata circolazione locale
- Deficit di forza della presa
- Squilibri muscolari
- Fattori psicosociali (stress, ansia, depressione, kinesiofobia, catastrofizzazione, insonnia ecc…)
Sintomi dell’epitrocleite
I classici sintomi dell’epitrocleite prevedono un dolore molto localizzato interno al gomito che viene accentuato da movimenti di flessione del polso o delle dita con il gomito in posizione di estensione e l’avambraccio in supinazione. Inoltre, anche uno stress laterale sull’avambraccio con il gomito flesso o esteso e l’omero bloccato può provocare il dolore.
Per capire come si manifesta l’epitrocleite al gomito, analizziamone i sintomi caratteristici. L’epitrocleite generalmente ha una manifestazione tipica, caratterizzata da un dolore interno al gomito localizzato a livello dell’epitroclea, che può irradiare talvolta al polso e nel lato ulnare dell’avambraccio. Tale dolore può essere evocato da:
- Palpazione diretta della zona di inserzione dei muscoli flessori del polso
- Attività che richiedono una presa salda
- Attività quotidiane e/o movimenti che richiedono una flessione e/o pronazione forzata del polso contro una resistenza esterna, specie se con il gomito esteso.
- Attività o sport in cui sono previsti lanci ripetuti
Spesso, inoltre, è possibile notare deficit della mobilità e forza dei flessori del polso, dei pronatori e dei muscoli del cingolo scapolo-omerale (in particolare nei movimenti di abduzione, extrarotazione ed estensione di spalla), così come un deficit di forza della presa. In fasi acute il dolore può essere presente anche a riposo o con movimenti banali.
In palestra, potenzialmente, a seconda anche della gravità del quadro, il dolore può essere esacerbato in qualsiasi esercizio in cui è necessaria una presa. Tuttavia, di solito il dolore è presente durante esercizi di tirata (come Lat machine e Trazioni) e durante esercizi per i bicipiti, specie con l’avambraccio supinato (come per esempio il Curl con bilanciere).
Importante comunque precisare che un dolore alla parte interna al gomito (epitroclealgia) non per forza è dovuto ai tendini dei flessori o solo ed esclusivamente ad essi. Infatti, sono comuni quadri di dolore derivati da una distrazione o lesione al legamento collaterale ulnare del gomito (specie post trauma) o infiammazioni del nervo ulnare che passa proprio in questa zona del gomito. In quest’ultimo caso i sintomi possono irradiarsi anche a livello dell’avambraccio come una tensione e fino alle ultime due dita della mano con formicolii e intorpidimento. Soprattutto nei casi molto cronici col dolore che persiste da molti mesi o anni è spesso presente un quadro di sensibilizzazione del dolore, il quale può presentarsi “a specchio” anche nel gomito opposto.
Diagnosi dell’epitrocleite: come individuarla?
La diagnosi dell’epicondilite è prevalentemente clinica, ossia ottenibile mediante una visita medica.
Nella valutazione clinica è importante porre attenzione al tipo di attività sportiva o lavorativa svolta ed alla presenza di pregresse tendinopatie come quella alla cuffia dei rotatori, la sindrome di De Quervain, il dito a scatto e l’epicondilite, che sono espressione di una predisposizione individuale per le tendinopatie degenerative.
Clinicamente il dolore sarà localizzato in corrispondenza dell’epitrocela omerale e potrà irradiare verso il polso e il lato ulnare dell’avambraccio. In modo caratteristico si evoca dolore facendo contrarre contro resistenza i muscoli flessori del polso e pronatori con gli opportuni testi clinici ortopedici. Nella valutazione clinica può inoltre essere di notevole utilità l’utilizzo di un dinamometro per valutare la forza della presa.
Le indagini strumentali tra cui la radiografia, l’ecografia, la risonanza magnetica e l’elettromiografia possono servire a confermare il sospetto clinico e ad escludere altre cause di dolore interno al gomito. A riguardo però è fondamentale sottolineare come la letteratura riporti tendenzialmente una scarsa correlazione tra l’intensità del dolore e la patologia tendinea.
In parole semplici, questo significa che non sempre un “brutto” quadro ecografico con tendini molto degenerati può essere correlato ad un dolore severo e che, viceversa, talvolta un quadro tendineo buono o privo di alterazioni importanti può comportare comunque un dolore maggiore. Inoltre, come per altre regioni anatomiche, anche qui c’è un’alta presenza di alterazioni tendinee nei soggetti privi di dolore.
Cosa fare per curare l’epitrocleite al gomito?
Come curare l’epitrocleite? I rimedi per questa condizione sono svariate e presentano evidenze contrastanti. Fra le diverse tipologie di trattamento proposte per la gestione e il trattamento di questa patologia troviamo:
- Correzione/modifica/sospensione delle attività provocative che sovraccaricano durante la giornata i muscoli flessori del polso e pronatori dell’avambraccio
- Esercizi di rinforzo e allungamento dei muscoli flessori del polso e delle dita e dei muscoli pronatori (esercizi isometrici e/o isotonici).
- Terapia manuale
- Tutore per epitrocleite
- Infiltrazioni locali di cortisone
- Terapie fisiche (TENS, laser, ultrasuoni…)
- Ghiaccio e farmaci antinfiammatori
- Chirurgia
- Riposo
Analizzeremo nell’articolo cosa afferma la letteratura scientifica riguardo ciascuna di queste proposte, ma partiamo dal definire quello che ad oggi sembra essere l’approccio più razionale e scientifico a questa patologia.
Secondo gli studi un trattamento di tipo “multimodale” (comprensivo di più interventi terapeutici) è da preferire; tuttavia la parte principale e fondamentale del trattamento dovrà sempre essere l’identificazione e la successiva modifica/rimozione (da valutare per ogni singolo caso) dell’attività provocativa, insieme all’esecuzione di un programma di esercizi di ricondizionamento tendineo volti a restituire elasticità, forza e resistenza ai gruppi muscolari interessati, così da facilitare la risoluzione del dolore e migliorare le proprietà meccaniche dei tessuti colpiti.
La funzionalità tendinea, infatti, è data dalla qualità e dall’organizzazione delle fibre collagene di cui le stesse cellule tendinee sono composte, ed è stato osservato che è proprio il carico espresso sui tenociti (tramite l’esercizio con sovraccarichi) il fattore chiave in questo contesto, in grado di regolare la risposta di sintesi proteica del collagene.
Il fattore più importante nel trattamento delle tendinopatie è quindi la gestione dei carichi. Applicare un carico ottimale (“optimal load”, diverso per ogni soggetto in base alle proprie caratteristiche) permette di “spremere fuori” le molecole di acqua in eccesso presenti nella matrice extracellulare tendinea, garantendo una riorganizzazione delle fibre collagene e migliorando di conseguenza l’organizzazione strutturale, la biomeccanica e la funzionalità tendinea.
Questo processo può essere svolto mediante contrazioni muscolare isometriche e isotoniche (di solito si preferisce somministrare contrazioni isometriche mantenute nelle fasi di irritabilità/dolore più elevate, per passare successivamente a contrazioni isotoniche concentriche/eccentriche e ad esercizi più complessi e globali) dei muscoli target (nel nostro caso i flessori del polso e pronatori).
Fondamentale in questi contesti sarà anche l’educazione del soggetto, che dovrà essere informato delle caratteristiche e del comportamento tipico di questa patologia, della prognosi media e dei fattori provocativi, così da ottimizzarne la gestione individuale.
Il messaggio chiave da portare a casa è quindi che il trattamento per l’epitrocleite si deve basare sull’educazione del paziente, sull’identificazione e gestione dell’attività provocativa, e sulla gestione dei carichi tramite esercizi. Altri tipi di intervento possono essere aggiunti con l’obbiettivo di ridurre i sintomi e ottimizzare il processo di guarigione, ma dovranno essere considerati come un’arma in più, e non come la parte principale del percorso riabilitativo.
Esercizi efficaci contro l’epitrocleite
Abbiamo definito l’esercizio terapeutico (insieme all’educazione e alla gestione delle attività provocative) come arma principale a nostra disposizione per gestire l’epicondilite. Ma quali esercizi dobbiamo preferire?
Per l’epitrocleite possono essere utili:
- Esercizi di rinforzo isometrico/concentrico/eccentrico dei muscoli flessori del polso e pronatori dell’avambraccio con elastico, barra o manubrio, eseguiti a gomito flesso a 90° o esteso
- Esercizi di stretching per i muscoli flessori del carpo
- Esercizi per l’upper body di spinta e tirata che coinvolgano i muscoli flessori del polso e delle dita nel loro ruolo di stabilizzatori del polso e della presa.
- Esercizi di rinforzo dei movimenti di abduzione, estensione ed extrarotazione di spalla
Immaginando un percorso riabilitativo dall’inizio alla fine, è consigliabile iniziare con contrazioni isometriche nelle fasi più acute e a irritabilità più elevata (dolore forte ed evocato facilmente). Possono essere utilizzati elastici o manubri con tenute da 20” fino a 50” per ogni serie, da ripetere per 3/4 serie più volte al giorno.
Successivamente si potranno aggiungere esercizi di allungamento degli stessi muscoli, ed esercizi isotonico concentrici/eccentrici (eventualmente si può partire inserendo solo contrazioni eccentriche), sempre con elastico, barra o manubrio. In una terza fase più avanzata, infine, quando la sintomatologia sarà notevolmente diminuita, andremo ad inserire gradualmente esercizi globali per gli arti superiori di spinta e tirata, sfidando così i flessori del polso nel loro ruolo di presa e di stabilizzazione del polso, piuttosto che come mobilizzatori primari, e tornando a svolgere gradualmente e senza sintomi quegli stessi esercizi/movimenti che prima generavano dolore.
Fra gli esercizi in questione rientrano, per esempio: trazioni, rematori, push-up, panca piana, spinte con manubri, curl (con manubri o bilanciere sagomato), alzate laterali, french press, squat.
Inoltre, è stato osservato che i soggetti con epitrocleite mostrano deficit significativi di forza nei movimenti di spalla di abduzione, extrarotazione, ed estensione. Questo accade perchè se la spalla non riesce a sopportare una certa quantità di carico in un movimento, tenderà a scaricare molto lavoro sul gomito, aumentandone lo stress ricevuto.
Nel gesto del lancio, per esempio, una spalla che non ruota abbastanza esternamente, causerà un compenso a livello del gomito che aumenterà lo stress in valgo. Per questo motivo, in fasi riabilitative intermedie e avanzate per l’epitrocletie, sarà utile aggiungere anche esercizi di rinforzo dei movimenti di abduzione (alzate alterali), estensione (estensioni da prono, pulldown, trazioni…) e rotazione esterna (extrarotazioni con cavo o manubrio) di spalla.
Quanto dura l’epitrocleite e quanto il recupero?
Da un punto di vista prognostico, i sintomi possono durare in media dalle 2 settimane ai 3 anni. Nell’80% circa dei casi il dolore svanisce spontaneamente (con la sola rimozione/modifica dello stimolo provocativo) entro un anno ed è caratterizzato da frequenti recidive e riacutizzazioni del dolore. La restante percentuale può andare incontro invece a quadri cronici che perdurano per oltre un anno.
In questo contesto, assolutamente da non trascurare è il sistema di elaborazione del dolore. Specie nei casi cronici che sono restii alla guarigione e che perdurano per molto tempo, è riportato un quadro di ipersensibilità dell’area, con un’alterazione nella modulazione del dolore a livello del sistema nervoso centrale. In altre parole, a questo livello può essere presente un’eccessiva sensibilità dei tessuti agli stimoli che conduce a elaborare uno stimolo doloroso amplificato.
È stato notato come il meccanismo di questa sensibilizzazione del sistema nervoso centrale sia strettamente correlato ad alcuni “fattori psicosociali”(fra i quali troviamo un’infinità di elementi come ambiente familiare/lavorativo/sociale, vissuto familiare, predisposizioni genetiche, ansia, stress, depressione, kinesiofobia, catastrofizzazione, traumi emotivi ecc…).
La presenza di questi elementi, di dolore dall’intensità e/o durata anomala, e di altri fattori (come la migrazione del dolore nel gomito opposto) può essere riconducibile a un quadro di ipersensibilità del sistema nervoso centrale in un contesto di dolore cronico. Essi spiegherebbero perchè talvolta non vi sia correlazione diretta tra la patologia dei tendini nell’ecografia e la gravità dei sintomi.
Un altro motivo della cronicità dell’epitrocleite può essere riscontrato nei casi in cui lo stimolo nocivo/doloroso non venga mai modificato/rimosso.
Epitrocleite, bodybuilding e palestra: cosa fare e cosa non fare? Ci sono movimenti da evitare?
Anche molti appassionati di fitness e bodybuilding sviluppano non di rado quadri di epitrocleite. Il sovraccarico funzionale è infatti dietro l’angolo quando si portano avanti con costanza programmi di allenamento mirati allo sviluppo della forza e dell’ipertrofia muscolare. In linea di massima non esistono esercizi in assoluto da sconsigliare poiché l’epitrocleite nasce da uno squilibrio tra il carico a cui è sottoposto l’apparato tendineo e il recupero che necessita per evitare fenomeni degenerativi. Per questo è fondamentale il dosaggio dei carichi di lavoro adeguatamente gestito grazie a una programmazione razionale e di buon senso.
Ad ogni modo, esistono alcune associazioni di movimenti che possono provocare ed esacerbare il dolore in quadri di epitrocleiti sintomatiche, e la loro conoscenza è la base per capire perché viene l’epitrocleite e come prevenire l’insorgenza di questo disturbo. Il fattore fondamentale in palestra è quindi gestire nel tempo questi movimenti (evitandoli temporaneamente, se necessario) dosando nella maniera più intelligente possibile il carico sui tessuti interessati. Gli esercizi in assoluto più a rischio sono quelli che prevedono movimenti di flessione del gomito associati a supinazione dell’avambraccio.
Gli esercizi a cui fare attenzione in particolare sono:
- Il Curl con manubri o bilanciere (in particolare bilanciere dritto, il quale genera forzature che non permettono di rispettare la normale biomeccanica del gomito). Questo esercizio andrebbe quindi limitato (se non eliminato temporaneamente) in fasi molto dolorose di epitrocleite.
- Lat Machine e Trazioni con presa supina. Le tipologie differenti di prese in questi due esercizi andrebbero costantemente cambiate durante i vari periodi dell’anno, evitando di allenarsi tutto l’anno con la presa prona. Alternate presa prona e presa neutra durante la vostra programmazione sia per ridurre il sovraccarico sui flessori del polso, sia per variare gli stimoli muscolari in ottica ipertrofia.
- Qualsiasi altro esercizio che necessita l’utilizzo di una presa salda che ostacola la forza di gravità (molti movimenti e skill del calisthenics, per esempio, sono inclusi in questa categoria).
- In soggetti molto rigidi anche la posizione forzata dei gomiti in avanti nell’incastro del bilanciere sulle spalle durante lo squat con bilanciere. In questi casi è consigliato allargare l’ampiezza della presa delle mani sul bilanciere per compensare un’eventuale rigidità di spalla in rotazione esterna.
Oltre alla fondamentale ricalibrazione dei parametri allenanti (serie, ripetizioni, carichi) negli esercizi appena citati, vediamo quindi tre accorgimenti utili per ridurre l’epitrocleite in palestra e avviarci verso una definitiva guarigione.
- Il primo accorgimento riguarda l’allineamento della presa: è tipico in soggetti che soffrono di epitrocleite cronica con recidive costanti, che durante esercizi come Lat machine, Trazioni o Pulley si assista ad una presa con eccessiva flessione del polso (allo scopo anche di vincere un sovraccarico eccessivo). In questo modo si genererà un sovraccarico importante a carico dei muscoli flessori del polso e delle dita, ostacolando la guarigione; per cui è fondamentale prendere coscienza di un’eventuale alterazione nell’allineamento della presa e correggerla (il polso dovrà ritrovarsi leggermente esteso di circa 20-30°).
- Secondo accorgimento: la cura dello schema motorio, in particolare durante esercizi multiarticolari. In questi esercizi sarà importante cercare di ridurre il sovraccarico sui muscoli dell’avambraccio. Per fare ciò è fondamentale imparare a selezionare al meglio i movimenti dell’omero durante gli esercizi di tirata e di spinta. Per esempio, durante gli esercizi di tirata si dovrà pensare a tirare l’omero all’indietro e verso il basso. In questo modo lo stimolo sarà veicolato al massimo sui muscoli della schiena, diminuendo il sovraccarico sui muscoli dell’avambraccio. Sarà quindi necessario non pensare di tirare dai polsi, ma concentrarsi invece sul muovere i gomiti
- Terzo accorgimento: sarà fondamentale aggiungere e integrare nella scheda di allenamento esercizi di ricondizionamento della matrice tendinea degenerata. Come riportato precedentemente, a seconda dello stadio dell’epitrocleite potremmo inserire esercizi isometrici, eccentrici o concentrico-eccentrici per i muscoli flessori del polso e pronatore rotondo.
Per quanto riguarda la gestione del dolore durante l’esecuzione degli esercizi la regola da rispettare secondo la letteratura è la seguente: è consentito al massimo un dolore che sia di bassa entità (che risulti quindi tollerabile) e che non peggiori ne durante ne nelle 24 ore dopo l’allenamento (deve quindi rimanere relativamente stabile, o diminuire poco dopo l’allenamento). In caso contrario, probabilmente il carico esercitato sui tendini è stato eccessivo, e sarà necessario ricalibrare nuovamente i parametri allenanti.
È importante aver ben compreso che, anche se esistono esercizi che per loro natura aumentano il fattore di rischio di insorgenza di epicondilite, l’elemento chiave in questo contesto è il rispetto della gradualità nella progressione e programmazione dei parametri allenanti.
L’esercizio fisico, infatti, ha dimostrato di provocare una riduzione netta del collagene tendineo durante le prime 24h-36h successive agli esercizi, ma un aumento netto (arrivando a quantità maggiori di quelle di partenza) dopo 36h-48h. Questo vuol dire che un tempo di recupero insufficiente tra un allenamento e il successivo potrebbe inclinare l’equilibrio tra sintesi e degradazione del collagene tendineo, determinando uno stato catabolico di quest’ultimo. Per tale ragione è raccomandabile inserire un recupero di 2-3 giorni tra le attività di carico pensante sul tendine ogni volta che si aumentano in modo importante i parametri di allenamento.
Attenzione, qui è facile fraintendere: questo non vuol dire che sia necessario prendere 3 giorni di recupero dopo OGNI allenamento, ma che ogni volta che si svolge un allenamento pesante a carico di un determinato distretto muscolo-tendineo nel quale si è aumentato uno o più parametri allenanti sarebbe consigliabile un recupero di 2-3 giorni prima di fornire un ulteriore stimolo allenante elevato, così da garantire il fisiologico turnover di collagene intratendineo, evitando così l’insorgenza di processi degenerativi tendinopatici.
L’allenamento abituale, quindi, comporta un maggior turnover del collagene, mentre l’inattività riduce la sintesi del collagene (che ricordiamo essere alla base della funzionalità e salute tendinea). D’altro canto, anche un allenamento ripetuto con periodi di riposo troppo brevi può provocare un netto degrado della matrice tendinea e provocare lesioni da sovraccarico.
Altri rimedi per l’epitrocleite: quali sono efficaci?
Andiamo ad analizzare cosa afferma la letteratura in merito alle altre proposte riabilitative spesso utilizzate nel trattamento dell’epitrocleite.
Tutore per epitrocleite
Il tutore è una fascia con una placca di compressione che va indossato circa tre dita sotto l’epicondilo. Riguardo al suo utilizzo troviamo due teorie tra loro contrastanti:
- Una teoria a favore, che troverebbe il suo fondamento nel fatto che il tutore agirebbe come una sorta di “seconda origine” sull’osso per i muscoli estensori, riducendo le forze sui tendini degenerati e andando nella direzione dello “scarico” tendineo e della guarigione. Tuttavia le evidenze scientifiche a riguardo sembrano essere abbastanza modeste.
- Una teoria a sfavore, argomentata dal fatto che il tutore in questo caso andrebbe a generare uno stress compressivo sui tendini degli estensori del polso, ed è risaputo che gli stress compressivi (insieme a quelli tensivo) hanno un ruolo principale nello sviluppo patologico delle tendinopatie, contribuendo ad alimentare la sintomatologia dolorosa.
Infiltrazioni e terapie fisiche
Le infiltrazioni di cortisone in casi di epitrocleite hanno dimostrato un effetto benefico a breve termine (nella riduzione dei sintomi) ma negativo nel medio-lungo termine (6-12 mesi), con un ritardo nella guarigione e con un’aumento del 62% della probabilità di andare in contro a recidive rispetto al non fare nulla.
Le infiltrazioni con cortisonici rappresentano quindi un fattore prognostico negativo per la risoluzione spontanea dei sintomi, contribuendo in alcuni alla cronicizzazione di questi, e per tale ragione sembrerebbe sconsigliato eseguirle (anche se va detto che le evidenze sul lungo termine sono discordi fra loro, e vi sono ancora discussioni a riguardo).
Anche per le terapie fisiche come TENS , ultrasuoni e onde d’urto l’evidenza è molto contrastante. Pare che in alcuni casi queste possano aiutare nel ridurre i sintomi nel breve termine, ma in ogni caso il loro inserimento nel piano riabilitativo deve essere sempre considerato come uno strumento aggiuntivo, e mai come parte principale.
Discorso analogo per le infiltrazioni di “Fattori di crescita” derivati dalle piastrine del sangue (plasma del sangue arricchito di piastrine, denominato “PrP”), che hanno mostrato scarsi effetti terapeutici nell’epitrocleite.
Ghiaccio e antinfiammatori
L’applicazione di ghiaccio può essere utilizzata a scopo unicamente antalgico nelle fasi più acute e dolorose. La sua efficacia è stata tuttavia messa in forte discussione da diversi studi. Anche l’utilizzo di farmaci antinfiammatori è sconsigliato in quadri di epitrocleiti croniche, poichè come abbiamo visto l’eziologia di questo disturbo è di natura degenerativa e non infiammatoria.
Riposo
Il riposo assoluto e l’astinenza dai carichi sono controindicati nei casi di tendinopatie (come l’epitrocleite) in quanto può ridurre la resistenza meccanica del tendine, e la rimozione totale del carico può indurre cambiamenti tendinopatici degenerativi dovuti alla mancanza di uno stimolo meccanico.
Come abbiamo visto in precedenza, infatti, l’allenamento abituale comporta un maggior turnover del collagene tendineo, mentre l’inattività riduce la sintesi e il turn over di quest’ultimo.
Terapia manuale
La terapia manuale, applicata a livello locale sul gomito, ma anche a livello cervicale e/o toracico si è dimostrata essere un valido aiuto nel trattamento dell’epicondilite. Tecniche di terapia manuale possono quindi essere uno strumento aggiuntivo da aggiungere agli elementi visti in precedenza, rimanendo coscienti del fatto che in questo contesto il loro scopo è di aiutare a ridurre la sintomatologia dolorosa nel breve e medio termine attraverso i noti effetti neurofisiologici che la terapia manuale è inutile grado di produrre.
Chirurgia
Per quanto riguarda la chirurgia l’intervento (realizzato artroscopicamente o a cielo aperto) ha l’obbiettivo di rimuovere il tessuto degenerato e di favorire i processi riparativi tendinei attraverso una cruentazione locale, ossia dei gesti tecnici mirati ad aumentare la vascolarizzazione locale del tendine e della sua inserzione ossea che ne favorirebbe la guarigione.
L’intervento chirurgico è considerabile nei casi di fallimento del trattamento conservativo (dopo un minimo di 9-12 mesi di tempo). All’intervento chirurgico dovrà successivamente seguire un periodo di riabilitazione post-operatoria con una ripresa graduale del movimento, volta al recupero della mobilità, della forza e della funzionalità dell’arto (ed un ritorno allo specifico gesto atletico nel caso di sportivi).
Epitrocleite: qual è il termine più corretto?
Esistono diversi termini che identificano il tipico dolore laterale al gomito: epitrocleite, dolore mediale di gomito, epicondialgia mediale, gomito del golfista, tendinite/tendinosi dei flessori del polso…. ma quale è il più corretto?
A dispetto del nome e del suo suffisso -ite, che richiama ad un processo infiammatorio, abbiamo visto come le evidenze scientifiche attuali non riportino il quadro infiammatorio comune causa principale della condizione dolorosa dell’epicondilite. Al contrario, il quadro è prettamente degenerativo, per cui il termine “epitrocleite” risulta improprio (poichè il suffisso -ite richiama a uno stato infiammatorio) ed è consigliabile virare sulla più appropriata dicitura di “tendinopatia dei muscoli epitrocleari” o “tendinopatia mediale del gomito”, attualmente considerato dalla letteratura come il termine da prediligere.
Dolore mediale (interno) al gomito: oltre l’epitrocleite
In letteratura sono riportare altre altre condizioni che possono portare al dolore al gomito lateralmente nei pressi dell’epicondilo omerale, condizioni che non devono essere trascurate, e che possono mimare un’epicondilite, portando a diagnosi errate. Fra queste troviamo:
- Problematiche articolari al gomito: da un punto di vista articolare, l’articolazione fra omero e radio e fra omero e ulna può essere sede di alterazioni e micro-instabilità
- Problematiche al nervo ulnare: sindromi da compressione nervosa di questo nervo possono spesso sembrare epitrocleiti (può comunque succedere che le due cose siano presenti insieme simultaneamente). In questi casi potrebbe essere utile inserire esercizi di mobilità per il nervo ulnare (neurodinamica).
- Dolori riferiti e modulati da alterazioni al rachide cervicale o toracico: esistono evidenze del fatto che anche il rachide cervicale e quello toracico possono avere influenza sul dolore mediale al gomito. Questo soprattutto se il soggetto dolorante differisce in concomitanza anche dolore al collo una storia clinica passata di sofferenza cervicale. Il dolore al gomito potrebbe insorgere come dolore riferito cervicale o da radicolopatia.
- Lesioni del legamento collaterale ulnare del gomito
Queste condizioni possono spesso unirsi alla degenerazione tendinea complicando il quadro. Ecco perchè l’epitrocleite può essere una problematica ostica da gestire. Viste le insidie dettate dal suo inquadramento clinico, è sempre consigliata una visita specialistica, specie se la condizione dolorosa non guarisce nel tempo con il riposo.
Conclusioni sull’epitrocleite
Arrivando alle conclusioni, è importante ricordare che l’epitrocleite in diversi casi guarisce spontaneamente nel medio-lungo periodo e l’intervento di un professionista della riabilitazione potrà aiutare ad abbreviare i tempi di recupero e ad ottimizzare il ritorno alla performance e la gestione autonoma di eventuali recidive.
Attenzione però a eliminare a monte la causa del problema quando questa è un sovraccarico funzionale di tipo sportivo o lavorativo, un programma di allenamento mal dosato o gesti motori scorretti. Qualsiasi tipo di terapia fallirà se non verranno corretti questi fattori. È bene inoltre sapere che un dolore a livello dell’epitroclea non è per forza un’epitrocleite. In questo senso la valutazione iniziale della problematica permettere un migliore inquadramento clinico e, di rimando, un trattamento mirato ed efficace.