Nutrigenetica: dimmi che DNA hai e ti dirò chi sei
Anche i non addetti ai lavori hanno ormai sentito parlare di Nutrigenetica e Nutrigenomica, e in particolare di test genetici che permettono di stilare il proprio personale profilo metabolico.
Prima di intraprendere un qualuque tipo di discorso pro o contro queste metodiche è assolutamente fondamentale distinguere i due ambiti a cui ci si può riferire: la ricerca e l’applicazione clinica.
Nel mondo della biologia molecolare e della medicina predittiva gli esperti del settore sanno che le scienze “omiche” sono il futuro. Genomica, Proteomica, Metabolomica, Nutrigenomica e Nutrigenetica sono tutte accomunate dal principio di esaminare (o tentare di esaminare) la complessità degli organismi viventi come un unicum. L’intento ultimo è quello di poter identificare un giorno, profili caratteristici delle cosiddette patologie multifattoriali e segnali (biomarker) in grado di predirle. Si tratta di patologie la cui causa è molto complessa e dipende da un’insieme di geni e fattori ambientali, tra cui depressione, obesità, malattie neurodegenerative. Per la verità la grande maggioranza delle patologie.
Il metabolismo è anch’esso una funzione biologica multifattoriale, perché coivolge migliaia di geni ed enzimi, ed è a sua volta grandemente influenzato da stili di vita, attività fisica, ritmi stagionali, ecc. In questo campo di ricerca la nutrigenetica (lo studio di specifici geni) e la nutrigenomica (lo studio dei geni del metabolismo nel loro insieme) stanno dando risultati molto incoraggianti.
Test nutrigenetica: quanto c’è d’affidabile?
Vediamo ora che applicazione pratica ha tutto ciò nell’attuale stato dell’arte. Mai come oggi i test genetici sono disponibili a prezzi accessibili, e questa opportunità è stata immediatamente commercializzata. Sono esami che vengono presentati come assolutamente affidabili ed estremamente professionali. E infatti lo sono, la genetica è arrivata a standard di qualità molto elevati.
Il punto cruciale della questione è l’effettiva utilità e applicabilità dei risultati (affidabilissimi) che si ottengono. Abbiamo parlato di malattie multifattoriali, e di come anche il metabolismo sia regolato da migliaia di geni che si influenzano reciprocamente e da fattori ambientali non dipendenti dal genoma.
Come può un test su pochissimi geni determinare il funzionamento specifico di un metabolismo individuale e consentire di stilare una dieta apposita che vi garantisca la forma fisica e la longevità? Non può, e nessuno ve lo promette in questi termini infatti. Si parla sempre e comunque di predisposizioni: ad esempio se avete un determinato polimorfismo di un certo gene potreste sviluppare l’obesità. E non possono dirvi nemmeno con che percentuale. Nel dubbio, mettetevi a dieta.
Un’altra cosa che non vi dicono è che anche una persona che NON ha quel polimorfismo potrebbe comunque sviluppare l’obesità, e magari anche con maggiore probabilità di voi.
Di fatto, persino persone già obese potrebbero benissimo risultare negative al test.
In sostanza si forza l’applicazione clinica di risultati sperimentali: un conto è studiare un gene in ricerca per capirne il ruolo nel metabolismo, altro conto è voler estendere l’impiego di quel singolo gene come strumento predittivo nella popolazione generale. Teniamo anche presente che un solo gene può avere moltissime funzioni, a seconda della sua regolazione epigenetica e del distretto corporeo in cui viene trascritto.
L’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, in linea con quanto stabilito dall’ASCO (il corrispettivo americano), suggerisce molta cautela nell’impiego dei test genetici per valutare la predisposizione al cancro. E si sta parlando di cancro, non di metabolismo. Ad esempio raccomanda che il test venga eseguito solo secondo prescrizione di un medico genetista, che sappia intepretare i risultati in base alla storia clinica e familiare del paziente. Non dimentichiamoci che esistono moltissimi tipi di cancro, alcuni a componente genetica forte, altri quasi nulla.
Sulla stessa lunghezza d’onda si schiera anche il Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione del CREA (ex-INRAN) che pur sottolineando l’importanza della Nutrigenetica nella ricerca, consiglia prudenza nell’interpretazione dei risultati dei test.
Esami del DNA e nutrigenetica
Ma scendiamo nel dettaglio e prendiamo in esame alcuni geni impiegati in questi test.
Molto studiato è il gene LPH (che codifica la beta-D-galattosidasi, l’enzima che scinde il lattosio): individui che hanno un certo polimorfismo in questo gene possono presentare intolleranza al lattosio.
Ma che cosa vuol dire? L’intolleranza al lattosio può manifestarsi in diversi gradi di severità, può apparire e scomparire in diverse fasi della vita e a seconda delle abitudini alimentari. Senza contare che per diagnosticare l’intolleranza basta il semplice Breath Test. Insomma val la pena fare un test genetico sul LPH per capire se al soggetto il latte fa male? No.
Un discorso analogo è valido per i geni del sistema HLA, studiati per la predisposizione alla celiachia, il gene VDR per il metabolismo della vitamina D, o il gene FTO per la predisposizione all’obesità.
Non parliamo poi della sindrome metabolica, dell’insulino resistenza e del diabete. I geni studiati sono moltissimi e tutti sembrano essere coinvolti. Citiamone alcuni: il gene PCI (un inibitore della via insulinica), il gene PTP1B (un altro regolatore negativo del signaling insulinico), il gene PPAR-gamma (che codifica per una proteina coinvolta nello sviluppo del tessuto adiposo), i geni KCNJ11 e SURI (per il canale del potassio ATP-dipendente delle cellule beta pancreatiche), il gene MLXIPL (regolatore trascrizionale dei geni della lipogenesi). E l’elenco non finisce qui. Senza contare l’apporto decisivo di fattori epigenetici e ambientali (come l’apporto calorico nei primi anni di vita, l’attività fisica, ecc.) che posso influenzare l’espressione genica.
Siamo sicuri che i nutrizionisti che prescrivono i test abbiano la competenza genetica di interpretare questa complessità, che non è pienamente compresa nemmeno da chi la studia quotidianamente? Ai posteri l’ardua sentenza.
Dieta del DNA è ancora utopia?
In conclusione qui non si vuole dare un giudizio definitivo sui test genetici. Ogni professionista opera secondo il proprio metodo e valuta autonomamente l’utilità delle tecniche offerte dal mercato. Sono state riportate semplicemente riflessioni personali e le linee guida dei grandi istituti di ricerca, con l’intento di fornire al lettore strumenti aggiuntivi per trarre le proprie conclusioni. Il principio qui utilizzato è il principio dell’economia, lo stesso impiegato nella teoria delle scienza: ovvero ottenere il massimo con il minimo sforzo.
I test genetici forniscono informazioni indispensabili e giustificano il costo impiegato per ottenerle? Ho davvero bisogno di questi risultati per capire quali siano le strategie alimentari più adeguate alla mia costituzione motebolica? Al momento, la risposta sembra proprio NO.
Al momento seguire la dieta del DNA non apporta nessuna reale vantaggio, dimagriremo sempre in base al nostro deficit energetico (le tanto odiate calorie). Può aiutare grazie al fattore psicologico e motivazione (mangio quello che mi dice il mio DNA), ma gli effetti finiscono qui.
Ho volutamente tralasciato di approfondire le applicazioni pratiche delle scienze omiche, come ad esempio la metabolomica, che in campo nutrizionale sta dando buoni riscontri, perché si tratta di tecniche ancora costose e con sperimentazione in fase embrionale. Teoricamente a livello applicativo hanno una grande potenzialità, probabilmente maggiore dei test genetici. Nei prossimi anni sarà bene tenere sotto controllo questa branca della biologia, perché potrebbe riservarci interessantissime sorprese.
Articolo del Dott. Lorenzo Ambrosini Biologo nutrizionista, lavora ad Ascoli Piceno e zone limitrofe.
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