Olio di cocco fa male? Fa bene? Quanto sappiamo e quanto crediamo di sapere
Periodicamente balzano all’occhio, di chi frequenta forum, blog e gruppi di fitness, delle notizie bomba che sembrano aver trovato il Sacro Graal della nutrizione. Una delle ultime mode in fatto alimentare riguarda l’Olio di Cocco (Virgin, mi raccomando!).
Quanto c’è di vero? L’olio di cocco fa male? Oppure fa bene? Non peggiora il colesterolo cattivo? Migliora il metabolismo lipidico? È un grasso che elimina gli altri grassi? È il segreto di Belen? Le opinioni sono discordanti.
Scopriamo assieme cosa c’è di scientifico dietro all’olio di cocco e dove incomincia il marketing.
Benefici olio di cocco (almeno quelli presunti)
A detta del web i benefici di quest’olio sono molteplici:
- Proprietà antimicrobiche (vedi chi pratica l’Oil Pulling)
- Rafforza il sistema immunitario
- Aiuta a dimagrire aumentando il metabolismo
- Protegge dalle malattie cardiovascolari
- È ottimo per friggere
- ecc ecc
E tra una cucchiaiata e l’altra puoi anche spalmartelo tra i capelli o farti un meraviglioso scrub alla faccia.
[confermato dalla sottoscritta]
Tutto questo pare supportato da studi scientifici recenti, presi da pubmed (ovviamente). Ma come mai, se provate a consultare le linee guida della comunità scientifica, questo è inserito nella “lista nera”, insieme a burro e olio di palma? Sarà perché è saturo? L’olio di cocco allora fa male? Sarà perché il cocco fa schifo ai medici e volevano punirlo?
Partiamo dal principio.
L’olio di cocco è un grasso vegetale ottenuto a partire dalla polpa essiccata noce di cocco.
È così composto(1):
- 86,80% da acidi grassi saturi:
- 44,80% Laurico (12:0)
- 17% Miristico (14:0)
- 8,4% Palmitico (16:0)
- 2,6% Stearico (18:0)
- 14% (Butirrico 4:0, Caproico 6:0, Caprilico 8:0 e Caprico 10:0)
- 6,25% da acidi grassi monoinsaturi:
- 6,25% Oleico (18:1)
- 1,6% da acidi grassi polinsaturi
- 1.6% linoleico (18:2ω6)
Ha un punto di fumo relativamente basso 177° (anche se c’è la credenza che essendo saturo lo abbia alto) per questo non è adatto per la frittura. (Olio di Palma: 240° / Olio extravergine di oliva: 190°)
La prima considerazione che viene fatta sull’olio di cocco è dovuta al suo buon contenuto di acidi grassi saturi a catena media. Questi particolari acidi grassi (in questo caso il Laurico) pur essendo saturi, non entrano, esattamente come quelli a catena corta, nella stessa modalità digestiva e di assorbimento di quelli a catena lunga. Brevemente, non necessitano di essere solubilizzati dai sali biliari, diffondono direttamente nell’enterocita e non vengono riesterificati a trigliceridi e inglobati nei chilomicroni, ma vengono direttamente immessi nel circolo ematico. Per questo motivo sono particolarmente utili quando si hanno problemi digestivi, patologie legate alla bile (ostruzione dei dotti biliari, deficit produttivi ecc) e della lipasi pancreatica.
Tuttavia il Laurico pare avere un effetto di aumentare sia le LDL che le HDL, anche se in modo “modesto” rispetto al Palmitico e al Miristico
Una cosa che non viene quasi mai considerata (in rete) è il totale della composizione di un olio. Il fatto che il Laurico non sia particolarmente importante a livello aterogenico non significa che la grossa percentuale presente nell’olio di cocco riesca a compensare la quantità, sebbene inferiore, di Miristico e Palmitico.
Infatti, nel 1998, uno studio (prego notare fatto su umani, non su criceti, topi, polli, etc) comparando gli effetti di una dieta con il 21% di grassi dati da grasso di bue, olio di cartamo e olio di cocco ha evidenziato, rispetto quest’ultimo, un aumento di LDL (il volgarmente detto “colesterolo cattivo”) abbastanza consistente. Questo potrebbe essere dovuto alla presenza di acido Miristico, piuttosto che all’effetto dell’acido Laurico.
Di recente gli studi legati ai grassi hanno spostato l’attenzione maggiormente sugli effetti dell’olio di palma (che necessiterebbe di una discussione a parte), questo perchè è molto più presente nei prodotti a libero consumo in occidente. Mentre l’olio di cocco, almeno per quanto riguarda la nostra realtà, resta un consumo di “nicchia”.
Se cerchiamo studi vari se ne trovano a bizzeffe sugli effetti dell’olio di cocco , positivi o meno, sugli animali. Perfetto, ma finchè non vengono testati sugli esseri umani non possiamo altro che fare ipotesi su ipotesi. Non dico che non siano interessanti, ma si può facilmente incorrere in diversità dovute alla specie (un esempio lo è l’effetto positivo degli ω3 sull’insulino resistenza fortemente riscontrabile in studi su ratti, invece totalmente assente o molto blanda negli esseri umani, patologici e non (11) ) che possono far trarre conclusioni inesatte a chi è “profano” della ricerca.
Alcune opinioni dicono che fa bene, altri l’olio di cocco fa male
Alcune considerazioni di articoli vari poi traggono conclusioni errate. Ad esempio, ho letto in più blog (copiati e ricopiati) la seguente frase: “A review of cooking fats used in India suggests that the increased incidence of both cardiovascular disease and type 2 diabetes is concurrent with the replacement of traditional fats such as ghee, coconut oil, and mustard oil with polyunsaturated fats such as corn, sunflower, or safflower oils.” con il magico numeretto che richiama ad uno studio scientifico.
Lo studio in questione (4) dice (dal riassunto):
“In contrast to earlier epidemiologic studies showing a low prevalence of atherosclerotic heart disease (AHD) and type-2 dependent diabetes mellitus (Type-2 DM) in the Indian subcontinent, over the recent years, there has been an alarming increase in the prevalence of these diseases in Indians–both abroad and at home, attributable to increased dietary fat intake. Replacing the traditional cooking fats condemned to be atherogenic, with refined vegetable oils promoted as “heart-friendly” because of their polyunsaturated fatty acid (PUFA) content, unfortunately, has not been able to curtail this trend. Current data on dietary fats indicate that it is not just the presence of PUFA but the type of PUFA that is important–a high PUFA n-6 content and high n-6/n-3 ratio in dietary fats being atherogenic and diabetogenic. The newer “heart-friendly” oils like sunflower or safflower oils possess this undesirable PUFA content and there are numerous research data now available to indicate that the sole use or excess intake of these newer vegetable oils are actually detrimental to health and switching to a combination of different types of fats including the traditional cooking fats like ghee, coconut oil and mustard oil would actually reduce the risk of dyslipidaemias, AHD and Type-2 DM“
Ovvero hanno preso una considerazione intelligente che poneva l’accento sulla composizione degli oli in diversi PUFA, sul loro rapporto in ω3 e ω6 e sul consumare fonti vaste di grassi a quantità moderate e l’hanno tradotta semplicemente con:
“L’aumento di malattie cardiovascolari e diabete 2 è in aumento in India in concomitanza della sostituzione dei grassi saturi tradizionali (olio di cocco, burro di ghee etc) con quelli polinsaturi di mais, girasole e cartamo” ERGO “I grassi saturi del cocco non fanno male”.
Un po’ troppo semplicistico il ragionamento.
Altri studi interessanti sono spesso travisati o ne viene considerata solo la parte “comoda” al fine di ottenere un articolo alla moda e figo.
Le popolazioni (indigene) che consumano cocco a vagonate non soffrono di malattie cardiovascolari.
Ci sono alcuni studi epidemiologici (5)(6) . Tutto molto bello. Ma a nessuno è mai venuto in mente, tralasciando che queste popolazioni non si scolano olio di cocco come fanno i russi con la Vodka, ma mangiano molto anche la noce di cocco (che non a caso è ricca di fibre, minerali e vitamine), fanno uno stile di vita lontano da smog, ricco di attività fisica più naturale possibile, stress pari a zero…no eh? è tutto merito dell’olio di cocco.
E cosa possiamo dire sugli acidi grassi a catena media aumentano l’energia (a parità di kcal) e fanno bruciare più grasso?
Ecco alcuni studi:
(7) (8) (9) Tutti molto interessanti, potrebbero dare il via su studi a larga scala (visto l’esiguo numero di partecipanti) magari nel futuro.
Al momento non hanno dimostrato nessuna panacea contro l’obesità o effetto dimagrante. Non è che se mangi olio di cocco non ingrassi. Hai una maggior termogenesi in pasti con MTC (tipo il 4% in più). Punto.
Uno studio del 2004 pubblicato sulla rivista Clinical Biochemistry ha evidenziato che l’olio di cocco può far diminuire il colesterolo cattivo LDL e aumentare il colesterolo buono HDL.
Ma io dico, li leggete mai gli studi che vengono citati negli articoli a casaccio, perlomeno gli abstract? no? O vi basate su quello che scrivono le Erboristerie online per vendervi prodotti (e poi accusate la ricerca scientifica di “complotto” con le case farmaceutiche)? Perchè questo studio confronta il Copra Oil (olio di cocco standard) con il più nobile Virgin Coconut Oil…nei topi e in vitro. (10)
Conclusioni sull’olio di cocco
Basta fare un giro sul web per trovare miliardi di opinioni riguardanti l’olio di cocco che prendono studi senza nemmeno capire di che si sta parlando. E come al solito ci sono parecchie opinioni contrastanti.
Sugli esseri umani dei presunti benefici dell’olio di cocco praticamente si trova poco o nulla, anzi piuttosto se ne trovano contro. I pochi studi positivi sono sul consumo di noce di cocco e non di solo olio. In tutti i casi non è minimamente paragonabile ai benefici dell’Olio Extravergine di Oliva.
Inoltre non si può considerare un alimento solo per la presenza di UNA cosa teoricamente positiva (MCFA nel cocco) e non di tutte le restanti.
Usate la vostra materia grigia. Perchè fidarsi del signor X sul sito Y sconosciuto, che magari prende riferimenti da studi recenti e che creano “grandi titoloni” (vedi Time)
e non dare credito a linee che la comunità scientifica mette a disposizione confrontando ogni anno centinaia di studi in tutto il mondo? Si fa bene a non fidarsi di nessuno ok, ma perlomeno leggeteli questi studi citati, fatevene un’opinione e magari prima informatevi sulla valenza di uno studio rispetto ad un’altro. Altrimenti alla fine della storia sarete voi i “polli” delle case farmaceutiche, delle industrie e del marketing (che poi chi più, chi meno, lo siamo tutti).
Soprattutto, perchè preferirlo ad un olio che è migliore dal punto di vista degli acidi grassi, che è ed è stato oggetto di tantissimi studi sulla salute e che praticamente fa parte della nostra cucina tradizionale da tempi immemori (oltre che avere un sapore migliore)?
In Italia abbiamo cose riconosciute da tutto il mondo e abbiamo questa meravigliosa tendenza a sputarci sopra.
Certamente consumare olio di cocco moderatamente non farà del male a nessuno, figuriamoci a degli sportivi, ma da qui a consigliarlo come grasso primario di una dieta sana ci passa un mare.
Articolo sull’olio di cocco è di Valeria Cangiano
Laureanda in Dietistica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia Federico II. Appassionata di nutrizione sportiva e powerlifting. Ha un suo blog sull’alimentazione e l’attività fisica.