Periartrite alla spalla: cause, sintomi e rimedi efficaci
Periartrite scapolo omerale è un termine generico utilizzato per indicare l’infiammazione delle strutture della spalla, riferendosi più nello specifico a patologie di natura degenerativa, come per esempio le tendinopatie della cuffia dei rotatori, le lesioni della cuffia dei rotatori, la sindrome da dolore subacromiale o la borsite. Quadri di questo tipo sono molto frequenti in coloro che si allenano in palestra, i quali si trovano spesso costretti a sospendere o ad evitare del tutto diversi esercizi a causa del dolore.
Il dolore alla spalla provocato dalle patologie appena menzionate è estremamente frequente e molto variabile: può presentarsi sia in sportivi che in sedentari, in alcuni casi può passare in pochi giorni, mentre in altri può manifestarsi per periodi di durata ben più lunga, o ritornare periodicamente. In queste situazioni i sintomi possono essere molto fastidiosi, con difficoltà nel muovere il braccio, a volte anche con movimenti semplici.
Quali sono le possibili cause che portano alla periartrite scapolo-omerale? Quali i sintomi e i rimedi più efficaci? Scopriamolo!
Periartrite spalla: che cos’è?
La periartrite è un disturbo che affligge la spalla e che, secondo la teoria da cui nasce questa etichetta diagnostica, troverebbe la propria causa in un’infiammazione acuta o cronica dei tessuti di questo distretto (tendini e borse). Ma cosa significa esattamente “periartrite scapolo omerale”?
Con questo termine ci si riferisce a quadri patologici che nella pratica clinica odierna vengono indicati come “tendinopatie della cuffia dei rotatori”, “sindrome da dolore subacromiale” (termine proposto da alcuni autori in sostituzione dell’oramai obsoleta etichetta di “impingement/conflitto subacromiale”) e/o “borsite”. Analizzando l’etimologia del termine, si può tradurre come un’infiammazione (–ite) di strutture intorno all’articolazione (peri-articolari) localizzate a livello della spalla (articolazione scapolo-omerale). Come vedremo in seguito, grazie alle recenti evidenze scientifiche sappiamo oggi che in realtà la natura di queste patologie non è infiammatoria, bensì degenerativa, e che il termine “periartrite” risulta pertanto oramai obsoleto e poco fondato.
Il quadro patologico che più di frequente viene inteso in questi casi è la tendinopatia dei muscoli della cuffia dei rotatori. Di cosa si tratta?
Le tendinopatie sono processi patologici degenerativi intrinseci del tendine, caratterizzate da alterazioni strutturali e funzionali a carico di quest’ultimo. Le tendinopatie della cuffia dei rotatori, in particolare dei muscoli sovraspinato e infraspinato, e del capo lungo del bicipite brachiale (che si inserisce nel margine superiore della fossa glenoidea, attraversando l’articolazione gleno-omerale e stringendo intimi rapporti con la cuffia dei rotatori) rappresentano il quadro patologico che più di frequente è responsabile del dolore di spalla (la letteratura parla di circa l’80% dei casi).
Studi recenti hanno evidenziato come processi degenerativi tendinei di grado più o meno avanzato siano presenti praticamente in chiunque, tanto da essere spesso considerati un fisiologico “segno d’invecchiamento” allo stesso modo dei capelli bianchi e le rughe sulla pelle.
In diversi casi le alterazioni tendinee sono asintomatiche e non è presente dolore (a conferma dell’estrema complessità e multifattorialità dei processi di elaborazione del dolore, e di quanto sia indispensabile correlare sempre gli esami strumentali ai quadri clinici attraverso un adeguato ragionamento clinico). Tuttavia, in molte altre situazioni le tendinopatie possono causare dolore e impotenza funzionale, la cui intensità può variare in base a diversi fattori tra cui il grado di irritabilità tissutale, il carico ricevuto, fattori genetici, fattori psicosociali ecc…
Periartrite scapolo-omerale: cause principali
Nel caso di tendinopatie la causa più importante e provocativa sembra essere l’aumento di carico sul tendine troppo poco graduale: in tutti i quadri di tendinopatia, infatti, se si indaga la storia del soggetto che ne soffre si può identificare quasi sempre un’attività “non ordinaria” che ha sottoposto il tendine ad un carico per il quale non è stato abituato, e che spesso può innescare un processo tendinopatico.
Nelle tendinopatie il riposo totale (ad eccezione di fasi molto acute e con alta irritabilità) è deleterio quanto il sovraccarico, in quanto non si fornisce in questo modo alcuno stimolo di adattamento positivo al tendine, che tornerà così a provocare dolore quando verrà sottoposto nuovamente al carico. I principi riabilitativi prevedono un sovraccarico progressivo, fornendo alla spalla via via stimoli sempre maggiori per riabituarla e rieducarla al movimento e al carico.
A livello strutturale una delle caratteristiche che inevitabilmente predispone i tendini allo sviluppo di processi tendinopatici è la ridotta affluenza di sangue: i tendini, infatti, sono scarsamente vascolarizzati, e ciò implica che anche i processi metabolici legati alla salute e alla guarigione dei tessuti tendinei siano fisiologicamente più compromessi rispetto ad altre tipologie di tessuti.
Sovraccarichi eccessivi, ripetitivi, non graduali e senza un adeguato periodo di riposo tra uno stimolo e il successivo possono portare nel tempo alla formazione di microlesioni tendinee, alle quali segue un processo di guarigione fallimentare.
A livello cellulare, sono stati evidenziati la perdita di organizzazione del collagene, il passaggio di alcune fibre collagene da “tipo 1” (una tipologia di fibre efficiente nella trasmissione di forze) a “tipo 3” (una tipologia di fibre collagene scarsamente efficiente nella trasmissione di forze), l’aumento del numero di proteoglicani e la formazione di nuovi vasi sanguigni (neo-vascolarizzazione).
Da un punto di vista anatomo-funzionale, in maniera molto generale possiamo dire che il dolore si presenta nel momento in cui le capacità di carico dei tessuti non sono abbastanza elevate da sopportare gli stress esterni. In parole povere i nostri muscoli, tendini, ossa e legamenti non sono abbastanza forti per sopportare gli stress che provengono dall’esterno. Per “stress” esterni intendiamo una moltitudine di fattori: quelli meccanici (come traumi violenti, cadute, movimenti bruschi, allenamenti eccessivi), il mantenimento prolungato di posture, ma anche altre componenti come la predisposizione genetica, l’età, la professione, lo stile di vita e fattori “psicosociali” come stress a lavoro, stress familiare, traumi emotivi importanti, paura, ansia e catastrofizzazione.
Più specificatamente, le principali cause che in questo contesto possono portare allo sviluppo del dolore alla spalla possono essere suddivise in cause di natura intrinseca e cause di natura estrinseca. Alcune di queste possono avere una correlazione diretta con il dolore, mentre altre rappresentano solo dei fattori contribuenti, non imputabili quindi come causa diretta del dolore di spalla, ma aventi un ruolo parziale nell’intensità della sintomatologia. Fra le cause abbiamo:
- Invecchiamento e degenerazione tendinea, con possibile correlazione all’età (comuni dopo i 40 anni), a una predisposizione genetica o a una scarsa vascolarizzazione dei tendini. Questi cambiamenti indeboliscono i tendini che risultano pertanto meno resistenti ai carichi e più suscettibili a lesioni. Anche la presenza di particolari predisposizioni genetiche e di un’associata presenza di ulteriori patologie concomitanti (come il diabete e l’ipercolesterolemia) può peggiorare la prognosi del dolore di spalla.
- Eccessivo sovraccarico funzionale, il quale determina un’alterazione della matrice tendinea. Negli allenamenti sarà fondamentale impostare una progressione dei carichi di lavoro razionale e rispettare i tempi di recupero e ricondizionamento tendineo, evitando di eccedere con il carico funzionale sulla spalla. Anche tecniche esecutive approssimate e non ottimali possono contribuire ad aumentare il rischio di infortuni e dolore alla spalla.
- Rigidità gleno-omerale con conseguenti alterazioni nell’allineamento e nella biomeccanica della testa omerale durante i movimenti della spalla. Di comune riscontro in chi si allena in palestra è la rigidità della capsula posteriore.
- Morfologia dell’acromion “a uncino” , che porterebbe ad un aumento delle forze compressive a carico dei tendini del muscolo sovraspinato. L’influenza di questa caratteristica morfologica sui processi tendinopatici è ancora oggi dubbia e molto discussa in letteratura.
- Instabilità gleno-omerale provocata da una scarsa performance dei muscoli della cuffia dei rotatori (debolezza o scarsa resistenza e controllo motorio) e degli stabilizzatori scapolari, sfociante in uno scarso controllo della testa dell’omero durante il movimento di spalla, con eccessiva migrazione superiore dell’omero in abduzione. Questa condizione è tipica nei soggetti molto lassi o nei soggetti che hanno subito operazioni chirurgiche alla spalla.
- Alterazione del normale allineamento statico e della normale dinamica scapolare durante il movimento della spalla.
- Combinazione di alcuni movimenti come l’abduzione e l’intrarotazione, e l’abduzione e il tilt anteriore scapolare, che aumentano per loro natura gli stress compressivi a carico dei tessuti molli sotto-acromiali. Tali movimenti non vanno visti come “dannosi” in qualsiasi situazione, ma come combinazioni di movimenti il cui fattore di rischio è superiore rispetto ad altri.
- Alterazioni posturali come l’ipercifosi toracica e le spalle anteposte. Anche qui è importante ricordare e sottolineare come la letteratura affermi che queste alterazioni non rappresentano la causa diretta delle tendinopatie e/o del dolore di spalla, ma possono rappresentare talvolta dei fattori contribuenti al quadro generale.
- In ultimo, la recente letteratura scientifica ha riscontrato un’elevata influenza dei fattori “psicosociali” riguardo al dolore di spalla e all’intensità dolorosa percepita. In questa categoria rientrano fattori come ansia, catastrofizzazione, depressione, credenze errate, kinesiofobia (paura del movimento), preoccupazioni eccessive e vissuto della persona. Tali fattori sono alla base del processo di “shift” da dolore “fisiologico” a dolore “persistente” con associata sensibilizzazione del sistema nervoso centrale.
Terminologia: infiammazione o degenerazione?
Diversi anni fa era credenza comune il fatto che l’infiammazione avesse un ruolo cruciale nello sviluppo delle tendinopatie. Grazie alle recenti scoperte messe in luce dalla letteratura scientifica, tuttavia, è stato abbandonato il vecchio modello secondo cui si pensava che i disturbi dei tendini fossero dovuti a meccanismi di natura infiammatoria (da qui il termine “periartrite” e/o “tendinite”, ormai abbandonato in quanto ritenuto erroneo ed obsoleto, poichè il suffisso “-ite” sottintende un quadro di natura infiammatoria) e il cui trattamento era basato prevalentemente sull’utilizzo esclusivo di farmaci e di riposo prolungato dall’attività.
Ad oggi sappiamo invece che il quadro patologico è di tipo “degenerativo” (con alterazioni patologiche dell’architettura tendinea e delle proprietà intrinseche del tendine stesso), e non infiammatorio (alcuni brevi picchi infiammatori possono essere presenti nelle fasi più acute, ma non in quelle che seguono), e il termine più consono per rappresentare tale situazione risulta pertanto essere “tendinopatia”, abbandonando quindi l’etichetta “periartrite” , considerata ormai poco sensata e troppo generale. In questo senso il problema è legato a una degenerazione del tessuto o a una mancata guarigione dello stesso, priva (o quasi) di meccanismi infiammatori.
Altri due fattori che hanno un ruolo rilevante nella genesi tendinopatica sono le forze tensive e quelle compressive, a carico dei tendini. La tensione (generata dall’attività muscolare) è infatti un meccanismo dominante nelle tendinopatie, e di frequente si verifica anche una compressione (per esempio nel caso tipico in cui il tendine viene compresso contro un osso). La combinazione di forze compressive e tensive a carico dei tendini può generare notevoli forze di taglio e stress importanti, con possibile sintomatologia dolorosa nei casi in cui i tessuti tendinei non siano abbastanza complianti da sopportarli.
Quadri di natura più infiammatoria sono invece presenti in altre patologie come le “tenosinoviti” e nelle “borsiti”, così nei traumi acuti.
Periartrite spalle: sintomi
I sintomi più comuni nella periartrite scapolo-omerale sono il dolore e l’impotenza funzionale, la cui intensità può essere molto variabile. Il dolore ha tipicamente un esordio lento e in assenza di un vero e proprio trauma che lo possa giustificare, inizia spesso senza un apparente motivo e va via via peggiorando (fase acuta) per poi eventualmente stabilizzarsi (fase cronica).
È generalmente profondo, molto localizzato, più tipicamente anteriormente, posteriormente o lateralmente sulla spalla (nell’area dei quattro tendini della cuffia dei rotatori), in un’area ristretta che non irradia mai oltre l’inserzione del deltoide. È un dolore acuto, sordo, descritto come uno “spillo” o qualcosa “che punge nella spalla”, o ancora come un dolore “a fitta” come una pugnalata, e intermittente, evocato e riprodotto ogniqualvolta si esegue un determinato movimento o esercizio.
I movimenti che tipicamente possono evocare questo tipo di dolore sono l’abduzione e/o la flessione (in particolare nel range tra i 60° e i 120° di flessione e/o abduzione), ma talvolta anche l’intrarotazione o l’extrarotazione di spalla. Oltre al dolore, può esserci crescente debolezza, riduzione del ROM e (raramente) lieve gonfiore locale. In alcuni casi, specialmente nelle fasi più acute e irritative, anche le attività di vita quotidiana e il sonno sul lato interessato possono causare dolore ed essere limitate.
Se alla base della periartrite c’è una tendinopatia della cuffia dei rotatori si può assistere di frequente al fenomeno del “Warm up effect (effetto riscaldamento)”, che prevede che nei casi di tendinopatia il dolore vada diminuendo man mano che si svolge una certa attività sportiva/allenante, fino anche a scomparire, per poi tuttavia ripresentarsi qualche ora dopo o la mattina seguente, con intensità spesso più elevate.
Nelle fasi più acute e irritative il dolore può presentarsi anche durante banali attività di vita quotidiana, riducendo di molto le capacità funzionali di tutto l’arto superiore.
Rimedi e cure efficaci per la periartrite della spalla: cosa fare?
Quali sono i possibili rimedi per una corretta gestione di questa patologia? Partiamo col dire che un corretto trattamento dovrà necessariamente essere contestualizzato in base ai meccanismi patologici che stanno alla base dei sintomi alla spalla, e in base alle caratteristiche e alla storia del soggetto, oltre che alle sue attuali capacità funzionali.
In letteratura è oramai pienamente concorde nell’affermare che un trattamento attivo basato sull’esercizio terapeutico graduale e progressivo è la strategia più efficace nella gestione della spalla dolorosa e della periartrite scapolo-omerale. Qualsiasi trattamento quindi dovrà basarsi principalmente sull’esercizio attivo, riadattando in questo modo le capacità di carico delle strutture del complesso articolare della spalla.
Spesso, in questi casi, ci si rivolge con troppa fretta e fiducia esclusivamente alle cure farmaceutiche prima e chirurgiche poi (chiedendosi quale antinfiammatorio usare per la periartrite o quando operare) sottovalutando le enormi potenzialità di un trattamento conservativo basato sul movimento e sull’esercizio.
Terapie e trattamenti per la periartrite alla spalla
Quali altri tipologie di trattamento, oltre all’esercizio, vengono proposte per la periartrite scapolo-omerale? Cosa dice la letteratura a riguardo?
Per quanto riguarda le terapie fisiche, il loro utilizzo nel trattamento riabilitativo per le tendinopatie non è consigliato dalla letteratura. Queste, infatti, non sono in alcun modo in grado di modificare la capacità di carico del tendine, e attualmente esistono poche evidenze di qualità che ne dimostrino e consiglino l’utilizzo.
Anche parlando di intervento farmacologico il discorso è analogo. Nella maggior parte dei casi infatti i farmaci proposti in caso di tendinopatie sono finalizzati alla diminuzione dei sintomi piuttosto che sulla causa di questi ultimi. Il loro eventuale utilizzo andrebbe quindi ben ragionato e contestualizzato.
L’applicazione di ghiaccio può essere utilizzata a scopo antalgico nelle fasi più acute e dolorose, con applicazioni da 15-20 minuti. La sua reale efficacia è stata tuttavia messa in forte discussione da diversi studi.
Per ciò che concerne la terapia manuale, alcuni studi hanno evidenziato come il trattamento manuale della spalla e del torace sia in grado di ridurre il dolore e migliorare la funzionalità nel breve termine. I miglioramenti associati alla terapia manuale non sono tuttavia riconducibili ad un effetto biomeccanico, ma ad effetti neurofisiologici e psicologici. In breve, quindi, la terapia manuale può rappresentare un valido aiuto nel piano riabilitativo, ma il focus principale dovrà sempre essere sull’esercizio e sul ricondizionamento tendineo al carico.
Per quanto riguarda il riposo, è ormai verità inconfutabile che il riposo e/o l’immobilizzazione nelle tendinopatie non sia efficace e che risulti, al contrario, deleterio. Questo perchè un tendine immobilizzato non avrà alcuno stimolo che generi conseguenti adattamenti positivi come l’aumento della capacità di carico, la riorganizzazione cellulare e la sintesi di collagene.
Alcuni studi hanno dimostrato che dopo due settimane di immobilizzazione la sintesi di collagene nei tendini viene ridotta notevolmente, e che la disposizione delle fibre collagene diventa casuale e disorganizzata, peggiorando la capacità funzionale del tendine (è infatti il carico che permette alle fibre di disporsi in maniera ordinata). L’immobilizzazione, per di più, aumenta la produzione di alcuni enzimi responsabili della degradazione del collagene.
Quindi in caso di tendinopatia non bisogna mai e per nessuna ragione restare a riposo?
Non proprio. In situazioni molto acute accompagnate da dolore molto elevato e presente anche nel quotidiano, può essere necessario un breve periodo di riposo, ma in un contesto in cui il soggetto resti comunque attivo e apporti possibilmente un minimo di carico sulla struttura, rispettando il dolore e la sintomatologia affinchè resti tollerabile. È poi importante sottolineare che dopo un periodo di inattività sarà fondamentale evitare aumenti improvvisi del carico (che potrebbero portare a processi tendinopatici), la cui progressione dovrà essere graduale.
E per quanto riguarda la chirurgia? In caso di tendinopatie della cuffia dei rotatori non esistono ad oggi prove a favore della superiorità dell’intervento chirurgico rispetto alle terapie basate sull’esercizio. I risultati dei trattamenti basati sugli esercizi appaiono infatti efficaci al pari di quelli ottenuti mediante chirurgia.
Sulla base di questi dati gli autori sostengono che gli interventi chirurgici nelle tendinopatie doverevvero essere considerarti solo dopo l’eventuale fallimento del programma di esercizi basato sul carico, proseguito per un tempo di almeno 12 mesi, o nei casi in cui il soggetto con dolore non sia stato in grado di tollerare in alcun modo il carico progressivo degli esercizi.
Anche le infiltrazioni non si sono rivelate migliori della fisioterapia a medio termine; anzi, i corticosteroidi sembrano avere effetti deleteri sui tendini nel lungo termine.
Parlando di impingement (o più correttamente, di “sindrome da dolore subacromiale”), un’intervento che negli ultimi decenni è stato fra i più diffusi è il cosiddetto intervento di “decompressione subacromiale” eseguito in artroscopia. L’efficacia di questo intervento è stata messa in prova da diversi studi, alcuni dei quali anche molto recenti, ed è emerso che tale procedura porta nel medio-lungo termine a risultati comparabili a quelli ottenuti tramite il solo trattamento con esercizi (in questo caso senza i rischi e i costi della chirurgia).
Oltre a ciò, tale intervento è stato confrontato con lo stesso intervento svolto in modalità “finta” (in sostanza veniva ricostruito lo stesso tipo di intervento ma nel concreto non veniva effettuato alcun intervento reale) riscontrando in entrambi i casi risultati comparabili, e portando gli autori ad attribuire i benefici di tale intervento legati principalmente all’effetto placebo e/o alla riabilitazione post-operatoria con esercizi. Per tali ragioni la letteratura sconsiglia ad oggi l’intervento di decompressione subacromiale.
Come dormire con la periartrite alle spalle?
Spesso in casi di dolore alla spalla, specialmente in fasi acute, è presente dolore nello stare distesi sul fianco della spalla interessata, peggiorando così la qualità del sonno. Fra le cause di questo fattore abbiamo sicuramente la scarsa vascolarizzazione tendinea (accentuata dalla fisiologica riduzione del flusso circolatorio durante il sonno) unita alla compressione esercitata sui tessuti della spalla dovuta al peso del corpo quando ci posizioniamo distesi sul fianco.
In condizioni di normalità i tessuti di una spalla sana sarebbero perfettamente in grado di gestire questi “stress”, ma in casi di dolore acuto questo può non accadere. In questi casi è consigliabile evitare temporaneamente (fino alla diminuzione/risoluzione dei sintomi) evitare di dormire sul lato interessato, così come in posizioni particolarmente stressanti/provocanti per la spalla (dormire con le braccia sopra la testa, dormire proni con le braccia sopra il cuscino ecc…).
Sarà invece consigliabile dormire in posizione supina o distesi sul fianco non interessato, utilizzando in entrambi i casi dei cuscini come supporto per posizionare la spalla in posizioni neutre, evitando eccessive rotazioni o flessioni/abduzioni.
Qual è il decorso e la durata della periartrite alle spalle?
In letteratura è affermato che mediamente sia necessario un periodo di 12 settimane per risolvere la sintomatologia tipica dovuta alla periartrite (a condizione che vengano rimossi gli stimoli dannosi e che vengano al contrario inseriti input che promuovano il recupero). Va tuttavia chiarito che questo intervallo temporale è variabile e influenzabile da una moltitudine di fattori (per esempio in caso di recidiva o di presenza di patologie concomitanti si parla di un’aumento temporale fino anche a 24 settimane) e che una percentuale di pazienti, seppur piccola, potrà andare incontro ad una cronicizzazione del dolore.
Il grado di irritazione tissutale, gli stimoli a carico dei tendini e le caratteristiche genetiche e psico-sociali possono influenzare enormemente il tempo necessario alla guarigione, e in molti casi la sintomatologia dolorosa tende a svanire anche prima delle suddette 12 settimane.
Periartrite spalla, bodybuilding e palestra
Le tendinopatie della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite, principali rappresentanti della periartrite scapolo omerale, rappresentano l’infortunio alla spalla più comune anche in coloro che si allenano in palestra. Anche qui i dolori vengono spesso descritti come “dolori a spillo all’interno della spalla”, che possono influenzare negativamente l’esecuzione degli esercizi o renderla impossibile a causa dell’intensità del dolore, spesso accompagnata dalla paura di danneggiare l’articolazione e i muscoli.
La panca piana con bilanciere è uno degli esercizi che più mette a dura prova il complesso articolare della spalla, e di conseguenza sono davvero numerosi i soggetti che sviluppano dolore alla spalla facendo questo esercizio.
Il dolore alla spalla avvertito durante la panca piana e negli esercizi affini (panca inclinata, croci, push-up ecc…) si presenta di solito con le caratteristiche descritte nei paragrafi precedenti, e il tipico arco doloroso corrisponde ai primi gradi di movimento, all’inizio della fase concentrica, quando il bilanciere o i manubri vengono spinti dal petto. Il dolore tende di solito a svanire una volta superata questa escursione di movimento, per poi ripresentarsi allo stesso modo nella ripetizione successiva.
Un’altra categoria di esercizi che molto di frequente è coinvolta in quadri di dolore alla spalla è quella che riguarda i cosiddetti esercizi “overhead”, come il Lento Avanti o Military Press, proposti allo scopo di stimolare muscoli come il deltoide e il trapezio superiore, e di allenare il movimento di spinta verso l’alto.
Anche in questo caso il dolore si presenta spesso intermittente e fortemente riproducibile, descritto come “uno spillo” o una fitta anteriormente, posteriormente o lateralmente sulla spalla. L’arco di movimento doloroso in questo caso è tendenzialmente riportato all’incirca tra i 60° e i 120° di abduzione o quando le braccia sono completamente distese sopra la testa, con il dolore riprodotto sempre allo stesso modo ad ogni ripetizione. La restante parte del movimento è invece libera dal dolore.
Per quanto riguarda il dolore alla spalla durante gli allenamenti, alcune strategie utili, sia in ottica preventiva che riabilitativa, sono le seguenti:
- Rispetto delle corrette esecuzioni degli esercizi, specie negli esercizi più soggetti al dolore di spalla come la Panca Piana, il Lento Avanti e le Alzate Laterali. Dovranno essere preferite varianti con il più basso fattore di rischio possibile, e sarà fondamentale il costante mantenimento di un corretto assetto scapolare durante gli esercizi.
- Evitamento/limitazione di linee di movimento dolorose, ricercando temporaneamente piani di movimento e ROM non dolorosi, per poi tornare gradualmente agli schemi motori originali quando il dolore sarà svanito.
- Evitamento/limitazione di serie a cedimento e/o tecniche ad alta intensità
- Rispetto della gradualità nella programmazione e nella progressione dei parametri allenanti, evitando (in casi di dolore) lavori a cedimento e serie lunghe e forzate, prediligendo invece lavori con un discreto buffer.
- Inserimento di esercizi specifici finalizzati alla correzione delle eventuali disfunzioni articolari e muscolari riscontrate con un’apposita valutazione. Rientrano in questa categoria esercizi di rinforzo/resistenza/performance muscolare (spesso necessari per i muscoli della cuffia dei rotatori e per alcuni muscoli periscapolari come il trapezio medio e inferiore o il gran dentato), esercizi di allungamento muscolare e/o capsulare, esercizi di mobilità ed esercizi di propriocezione.
Conclusioni sulla periartrite alle spalle
In conclusione possiamo dire che il termine “periartrite scapolo omerale” , oramai obsoleto e troppo generico, andrebbe abbandonato, identificando invece le patologie più specifiche alla base dei sintomi, o parlando piuttosto di “dolore aspecifico di spalla”. Una volta identificate le possibili cause del dolore di spalla, nella maggioranza dei casi sarà possibile ottenere una risoluzione completa della sintomatologia attraverso un trattamento multimodale basato principalmente sul movimento attivo.