Stretching e mobilità: bisognerebbe partire da qui
Articolo che fa chiarezza sul punto principale per cui fare stretching. Un articolo che tutti dovrebbero leggere per comprendere realmente come la salute globale passi attraverso la liberazione dei blocchi articolari e delle retroazioni muscolari.
“Tutto quello che stabilizza artificialmente destabilizza funzionalmente” DARIO RIVA
Quand’ero piccolo mi venne diagnosticato un arto più corto, la differenza era rilevante e l’ortopedico mi consigliò un plantare. Provai a tenerlo per un mese, dal mattino alla sera, lo mettevo ovunque, nelle scarpe, nelle ciabatte, era diventato il mio miglior amico, non lo abbandonavo mai.
Tuttavia non mi abituavo , prima non soffrivo di mal di schiena, col plantare invece tutto diventava faticoso, mi stancavo subito e la colonna era sempre dolorante.
Dopo un mese lo abbandonai, non dissi nulla ai genitori ed ogni volta che mi chiedevano se l’avevo messo rispondevo: “certo ormai mi viene naturale, non potrei farne senza”.
Sono passati 20 anni da allora e forse per miracolo gli arti sono tornati lunghi uguali, possibile?
Come faccio a diagnosticare se ho un FALSO arto corto?
Guardate questa immagine
Risulta evidente che l’arto sinistro è più corto.
O forse è quello sinistro ad essere più lungo?
Perchè si parla sempre d’arto inferiore più corto, di spalla più alta, come si fa a capire se è una parte ad essere difettosa (disfunzionale) oppure l’altra?
E’ un muscolo ad essere retratto o è l’altro ad essere lasso?
E’ un’osso iliaco ad essere in anteriorità o è l’altro che è in posteriorità?
La risposta è in realtà abbastanza semplice, per capire qual’è la parte disfunzionale (tralasciando le misure anatomiche, se potete misurare con esattezza gli arti avete un dato oggettivo) basta capire quel’è la parte che funziona male (disfunzionale), quella che ha perso una parte del range fisiologico, dove la QUALITA’ del movimento è stata alterata.
I gesti di tutti i giorni sono formati da macromovimenti, quando camminiamo, caviglia, ginocchio, anca, colonna vertebrale, ecc, assecondano il gesto. Il corpo continuamente compensa gli scompensi, se un arto è più breve, manda il suo ileo in anteriorità e porta l’altro in posteriorità, inclina il bacino, compensa con la colonna e le spalle, ridistribuisce il peso, ecc.
E’ difficilissimo vedere nel macro proprio perché le energie vengono disperse, altre parti si fanno carico della disfunzione.
Un esempio comune è quando un segmento vertebrale si blocca ma a fare male è un altro segmento che deve compensare il movimento e che si sobbarca la mancanza di mobilità, magari diventando ipermobile.
Non sempre il problema alberga dove abbiamo il dolore.
Per iniziare a comprendere la questione introduciamo il concetto di BARRIERA MOTORIA.
Per semplificare immaginiamo che un movimento si svolga solo su un piano, l’integrità strutturale dell’articolazione delimita il ROM entro cui avviene il movimento. Il punto in cui abbiamo meno tensioni strutturali e connettivali è definito PUNTO NEUTRO.
Potremmo utilizzare l’immagine di una bilancia, flessione ed estensione si equilibrano, il movimento è completo in tutte le direzioni:
Purtroppo la vita di tutti i giorni porta continuamente ad insulti articolari e muscolari, lussazioni, contusioni, fratture ma anche semplicemente posture scorrette ripetute nel tempo portano ad alterare questo punto funzionale. Si crea così un disequilibrio, perdiamo parte del movimento in una direzione, l’armonia è persa:
Ecco lo stretching, la mobilità, dovrebbero partire da qui.
Lo studio delle singole articolazioni, del loro corretto movimento e della loro reciproca interazione, permette di studiare il micromovimento. L’efficacia di questo approccio è proporzionale a questo esempio.
Prendete un soggetto con i femorali rigidi e chiedeteli di toccarsi la punta dei piedi:
Noterete che il bacino rimane retroverso, il soggetto cerca di guadagnare movimento flettendo ulteriormente la schiena (si ingobbisce). Più cerca d’allungarsi e più diventa cifotico.
Ora i casi sono due o gli ischiocrurali si smollano in poche sedute oppure compenserà guadagnando movimento a carico della colonna vertebrale e non dove serve. Alla fine rischierà di toccarsi la punta dei piedi grazie ad una colonna ipermobile in flessione ma continuando ad avere i muscoli posteriori della coscia retratti.
Se lo stretching non viene eseguito correttamente, togliendo i compensi, rischia d’essere un cattivo stretching, perchè non va a lavorare sul problema specifico ma colpisce la parte che si allunga per prima.
Allo steso modo studiando e lavorando sui micromoviementi (sacro-iliaca per esempio) si riesce a migliorare non la QUANTITA’ di movimento ma la QUALITA’.
Abbiamo atleti di livello mondiale rigidi ma estremamente efficaci ed invece atleti molto mobili (al limite del lasso) qualitativamente poco validi.
Il discorso è complesso e lo approfondiremo in altri articoli, concludiamo soffermandoci su due punti:
1) La necessità dell’interazione tra il preparatore atletico, il personal trainer ed una figura professionale qualificata (fisioterapista-osteopata-chiropratico), soltanto la collaborazione tra più figure professionali può consentire il miglior risultato.
2) L’attenzione non più soltanto al movimento ma alla sua qualità. La QUALITA’ è un argomento che ritorna tantissimo nel project inVictus, nella tecnica degli esercizi, nell’alimentazione, nella programmazione e anche, in questo caso, nello stretching.