Stretching passivo: come farlo
In questo articolo scopriamo lo stretching passivo, analizzando le sue caratteristiche scopriremo come poterlo utilizzare durante l’allenamento.
Stretching passivo: cos’è e come funziona
Possiamo definire lo stretching statico come la base delle basi: senza di esso non esisterebbero molti altri metodi. Inoltre, è quello più intuitivo e semplice da fare: per questo, ricopre un ruolo basilare.
Durante lo stretching passivo ci si posiziona in una determinata posa in cui il muscolo è sottoposto ad allungamento “passivamente”, assecondando la forza di gravità e mantenendo questa posizione di allungamento. Non sarà sempre la forza di gravità a renderti agile il lavoro, ma dovrai spesso impegnarti mediante determinati movimenti del corpo, a posizionarlo nella miglior maniera per massimizzare i benefici di una posa.
Ma cosa significa “posizione di allungamento”?
Una posa è di allungamento quando uno o più muscoli si trovano in una posizione in cui le fibre muscolari sono allungate oltre il loro abituale standard: l’origine di tali muscoli si trova più lontano del normale dall’inserzione degli stessi.
Vista la semplicità di questo tipo di allenamento, lo stretching passivo è il più indicato per i soggetti principianti, che si affacciano allo stretching per le prime volte, oppure per chi è molto rigido.
Non solo per la sua semplicità, ma anche per un discorso di pesantezza e rischio di infortuni lasciar allungare un muscolo sotto gravità, senza sottoporlo a bruschi allungamenti (come nello stretching dinamico) o allungamenti forzati (come nello stretching con l’ausilio di pesi) ecc. sarà più sicuro per il soggetto principiante e porterà ad una progressione graduale nel tempo.
Inoltre, nei soggetti rigidi, metodi avanzati hanno minor efficacia in quanto potranno agire su un range di movimento troppo ridotto, quando hanno bisogno di maggior elasticità muscolare per essere produttivi.
Come posizionarsi nello stretching passivo
Il come mettersi in posizione dipende tantissimo dall’esercizio che vai ad eseguire: ognuno ha la sua tecnica con le sue peculiarità.
Il concetto di base da tenere sempre in considerazione è cercare di sentire l’allungamento del muscolo agendo sull’allontanamento dell’origine dall’inserzione dello stesso. Non c’è metodo migliore di un esempio per spiegare questo concetto.
Prendiamo in questione il muscolo bicipite femorale assieme agli ischiocrurali (i muscoli posteriori della coscia). Il loro allungamento avviene, oltre ad altre azioni, attraverso la flessione dell’articolazione dell’anca (ginocchia al che vanno verso il petto), dove la loro origine si allontana dall’inserzione. Sapendo questo, metteremo il corpo in una posizione tale da consentire l’allungamento seguendo questo concetto: flettere l’articolazione dell’anca.
Un esercizio davvero semplice che balza subito alla mente è stendersi sdraiati supini, alzare una gamba di fronte a noi ed afferrarla, tirandola verso il nostro torace. In questo modo l’articolazione dell’anca risulterà flessa e potremo avvertire una sensazione di stretching sui muscoli bicipite femorale ed ischiocrurali. Ad esempio, in questo nostro articolo trovi come stretchare l’anca.
Una volta in posizione, durante lo stretching passivo basterà fare del nostro meglio per rimanervi rispettando dei dettagli che fanno la differenza: la respirazione, la durata e la gestione del dolore.
Stretching passivo e respirazione
La respirazione è il primo dettaglio che gioca un ruolo fondamentale: restare in apnea non solo non consente il ricambio dell’ossigeno nel sangue con conseguente irrigidimento dei muscoli, ma spesso quando stiamo in apnea involontariamente contraiamo anche i muscoli della parete addominale. Tali muscoli, molto grandi ed in uno snodo centrale del corpo, portano ad un irrigidimento generale di quest’ultimo, cosa che, in una posa di stretching, come potete immaginare non è il massimo.
Quindi ricordatevi di respirare, sempre. Respirare significa portare calma e concentrazione al corpo.
Le linee guida in questo caso parlano di una fase di inspirazione di 2-4 secondi, ed una di espirazione di 3 o 5 secondi. Sommati, circa 6 secondi a respiro. Tradotto, 10 respiri sono 1′ di tenuta.
La respirazione deve essere un misto tra diaframmatica e polmonare: nel primo caso, incanaleremo l’aria “dentro la pancia” come se doveste gonfiare l’ombelico. Nel secondo, la incanaleremo nei polmoni, come per gonfiare lo sterno.
Il consiglio è di non soffermarsi troppo su quest’ultimo aspetto ma tenere una respirazione il più possibile vicino a quella che utilizziamo nel quotidiano. Questa cosa farà storcere il naso a molti che prediligono una piuttosto che l’altra, ma qui la regola è fare quello che porta maggiori risultati al singolo. Ti trovi bene a respirare solo con il diaframma? Bene, se ti porta risultati, utilizza quella respirazione. Stessa identica cosa per l’altra.
Ricordati di non andare in iperventilazione, molto spesso, soprattutto i principianti, enfatizzano eccessivamente la respirazione svuotandosi completamente d’aria durante l’espirazione e riempiendosi completamente durante l’inspirazione, risultato: giramenti di testa fortissimi dati dalla respirazione eccessiva e troppo pronunciata. Come ripeto: meglio tenerne una il più possibile vicina al quotidiano.
Quanto deve durate lo stretching passivo?
Quanto rimanere in posizione è la domanda da un milione di euro in questo campo. Alle persone non importa cosa stanno facendo, cosa stanno allungando, l’unica domanda che spesso viene posta è: “per quanto devo rimanere in posizione di stretching?“.
La teoria su questo aspetto non da risposte certe. Il tempo minimo di allungamento passivo per ottenere dei benefici si attesta attorno al minuto, di uno stretching che non sia eccessivamente doloroso, quindi mantenibile tranquillamente per quella tempistica. Non a caso il protocollo base di allungamento per una posizione è di 3 serie da 1′ di tenuta (o 10/15 respiri profondi).
Esistono poi casi dove lo stretching viene mantenuto per poco tempo (attorno ai 20″) quando un atleta avanzato va in una posizione estrema ed è mantenibile per poco, oppure ancora, casi in cui viene protratto anche per 5′. Tenute così lunghe vengono utilizzate per prendere confidenza ed assodare certe posizioni oramai “comode”.
Le pratiche quindi spaziano da un estremo all’altro, ma esistono delle linee guida:
- Tenere una posizione da sola per meno di 30″ non vi porterà a chissà quale vantaggio, fatta eccezione per le pratiche come alcuni rami dello yoga dove si passa per certe pose senza mantenerle per più di qualche secondo, ma dove ci si torna per più e più volte.
- Il protocollo base consiglia da 30″ (il minimo minimo minimo) fino a 1′ (quello consigliato) di tenuta in stretching passivo, ripetuta per più serie, di solito 3. Il tempo di recupero tra una serie e l’altra è di circa 1′. In ogni caso, si tratta di una pratica sostanzialmente diversa dallo strength training o affini quindi non è necessaria una rigidità di questo tipo sui recuperi.
- In alcuni casi (come per l’ultima serie che fai, oppure a fine di un allenamento) si possono tenere anche più minuti di posizione, spingendosi oltre i 2/3′.
Perché proprio 3 serie da 30/60”? La ragione che sta alla base della durata dello stretching è collegata all’intensità della posizione, vediamo perché.
- Se una posizione si riesce a tenere per un tempo molto prolungato significa che l’intensità che ha sul corpo è bassa: non sei in un range di allungamento profondo, altrimenti non riusciresti a restare in quella posizione per così tanto tempo.
- Se una posizione la tenete meno di 30 secondi, significa viceversa che è troppo intensa.
Il discorso intensità è molto importante: nello stretching passivo (badate bene, questo discorso vale nel passivo) la posizione deve essere a cavallo tra l’essere estremamente impegnativa e l’essere confortevole. Troppo impegnativa ed il corpo non avrà il tempo e la capacità di adattarsi a questo stimolo eccessivo. Viceversa, troppo poco impegnativa ed il corpo non avrà bisogno di adattarsi alla posizione, quindi risulterà difficile incrementare il vostro livello di flessibilità.
Riguardo a quanto farlo durante la settimana, qui il discorso diventa ancora più vasto. Non c’è una misura certa, ma in linea generale per portare miglioramenti si consiglia una seduta full body dove si parte dai muscoli della parte superiore e si procede poi a quelli della parte inferiore, dove si svolgono 1 o 2 esercizi per parte corporea con le metodologie indicate sopra. Questo con una frequenza di 3 o 4 volte la settimana. Nulla vieta, nel caso di maggior comodità, di dividere tra parte sotto e parte sopra, dedicando una sessione da 1/2 esercizi a gruppo muscolare per la parte sopra e la stessa cosa per la parte sotto.
Quanto deve fare male lo stretching passivo?
Quanto riesco a sopportare la posizione? Il dolore è innegabile che sia un fattore che a moltissime persone fa smettere una pratica di stretching: spaventa, disturba, intimorisce. Per questo va fatta una precisazione su come debba essere affrontato nel migliore dei modi.
È molto importante capire che andare in posizioni di stretching dove si sperimenta forte dolore non è vantaggioso. Questo input neurale produrrà a sua volta un output: segnali da parte del vostro sistema nervoso per contrarre i muscoli ancora di più non permettendovi di adattarvi a quella posizione e di capire come rilassarvi maggiormente. Trovate sempre un range dove sperimentate allungamento ed una medio/leggera scomodità e passateci tempo respirando profondamente.
Quando permettete al vostro corpo di rilassarsi in uno stato dove prova questa sensazione di scomodità e non dolore, migliorerete progressivamente nel vostro stretching. Al contrario del forte dolore troviamo l’eccessiva comodità. Insomma, parliamoci chiaro, stare seduti sul divano è comodo ma non ci fa pensare ad una seduta di stretching, quindi, mi raccomando, il dolore non deve essere eccessivo ma nemmeno non essere presente, come abbiamo visto sopra, la sensazione è di una leggera scomodità.
Parlando a numeri (perché i numeri piacciono!) in una scala da 1 a 10 durante lo stretching passivo dovete sperimentare una scomodità che va da 5 a 8.