La spalla in palestra: analisi fisiologica e biomeccanica per un esercizio sicuro
Studio fisiologico e biomeccanico dell’articolazione della spalla per una corretta esecuzione degli esercizi in palestra. Lo studio anatomico della spalla ci permette di capire come allenarci ottenendo il massimo risultato col minimo danno articolare possibile.
Del Dr Andrea Roncari
Coinvolta, spesso inconsapevolmente, nella maggioranza dei movimenti di vita quotidiana e in quasi tutti gli esercizi con i sovraccarichi, la spalla costituisce un vero e proprio capolavoro biomeccanico, la cui approfondita conoscenza ha avuto bisogno di anni e anni di studi scientifici che ci hanno portato ad oggi a conoscere quasi tutto di questa articolazione.
Oggi, tutta questa vasta conoscenza sull’argomento permette al personal trainer di allenare questa articolazione in massima sicurezza ottenendo dal proprio cliente il miglior condizionamento possibile preservandone l’integrità.
A differenza dello sport agonistico che con il suoi movimenti a volte forzati e le sue intrinseche caratteristiche di velocità e imprevedibilità mette a rischio infortunio la spalla, in palestra abbiamo a che fare con movimenti elementari, sotto il nostro completo controllo, dai piani di movimento, al ROM articolare fino alle velocità di esecuzione: difficile farsi male, a meno di una conoscenza poco approfondita della morfologia e delle dinamiche di questa sofisticata articolazione.
Inquadriamo il problema
Frequentando l’ambiente delle palestre capita spesso di imbattersi in un enorme confusione riguardo l’esecuzione di alcuni esercizi e forse il caso più emblematico è legato agli esercizi di abduzione dell’arto superiore con sovraccarico.
Spesso si riscontrano delle discordanze nelle modalità di esecuzione sia tra addetti ai lavori che consultando manuali di riferimento.
In tal senso, sfogliandone alcuni, si osservano chiare contraddizioni sulle modalità esecutive proposte in particolare riguardo le rotazioni attorno all’asse longitudinale associate ad abduzione.
Analizzando l’articolazione da un punto di vista anatomico, fisiologico e biomeccanico e passando in rassegna gli studi presenti in letteratura scientifica è possibile comprendere a fondo le dinamiche intrarticolari nei vari movimenti di abduzione, capire quale sia l’esercizio più sicuro in termini di massimo beneficio e minimo rischio (e quindi da somministrare al nostro cliente) e allo stesso tempo effettuare quindi un’ analisi critica degli esercizi proposti in molti manuali del settore che creano confusione e diatribe persino tra gli addetti ai lavori.
Cosa ci dicono gli studi
Attingendo dalla letteratura scientifica è possibile trarre delle conclusioni oggettive riguardo le dinamiche che intercorrono all’interno dell’articolazione durante i suoi vari movimenti rigettando teorie astruse basate sulla sensazione, molto comuni nell’ambiente fitness.
In particolare:
Graichen et al., (1999) , hanno analizzato in 12 soggetti sani come variava lo spazio subacromiale e le relazioni spaziali tra sovraspinato, acromion e clavicola durante un abduzione con diverse rotazione dell’omero. Hanno registrato comea 90° di abduzione con 45° di rotazione interna fosse la posizione in cui il sovraspinato era in più stretto contatto con il bordo inferiore dell’acromion.
Brossmann J et al., (1996) si sono posti come obbiettivo quello di analizzare i rapporti tra tendine del sovraspinato e arco coraco acromiale tramite radiografia e risonanza magnetica in varie posizioni della spalla concludendo che l’impingement del sovraspinato si può meglio osservare a 60° in abduzione e intrarotazione, sottolineando come ciò possa aiutarci a comprendere la patogenesi della sindrome da impingement.
Yanai T. et al., (2006) si sono proposti di osservare in vivo le forze di compressione all’interno della spalla, in varie posizioni, in 13 soggetti asintomatici concludendo che: non tutte le posizioni in abduzione provocano impingement in soggetti asintomatici ma solo l’abduzione in rotazione interna. Le forze di impingement risultano enormemente maggiori a 90° di abduzione e rotazione interna (18.3N), rispetto a 90° di abduzione in rotazione neutra ed esterna (< = 3N).
Hughes et al., (2012) hanno effettuato un’ analisi su cadavere delle forze di compressione all’interno
della spalla nei suoi movimenti di flessione, adbuzione e estensione in rotazione interna ed esterna osservando come le più alte pressioni registrate furono in abduzione e rotazione interna sul legamento coraco acromiale e sul sovraspinato.
De Jongh et al., (2011) hanno analizzato i movimenti attivi e passivi della spalla e il ruolo che essi hanno nel diagnosticarne possibili disturbi e hanno suggerito come “il movimento di abduzione e rotazione esterna possa essere giudicato affidabile”.
Gli studi analizzati sembrano essere tutti concordi che l’ abduzione dell’omero associata ad una intrarotazione sia il movimento che in assoluto provochi un maggior schiacciamento/intrappolamento dei tessuti molli interposti tra omero e volta acromiale in particolar modo del muscolo sovraspinato.
Questo infatti, occupa una posizione critica in relazione al sollevamento dell’omero occupando per intero la fossa sovraspinata, passando sotto il legamento acromio-coracoideo e andandosi ad inserire sul trochite inevitabilmente rimane intrappolato ( impingement ) durante un’abduzione con intrarotazione la quale pone il trochite sulla stessa linea dell’acromion provocandone inevitabilmente il contatto.
Diversamente per un’adbuzione in extrarotazione, il trochite sfugge all’acromion, non intrappola il sovraspinato e le forze di compressione registrate sono 6 volte minori!
Ulteriori indizi
Ulteriori conferme ai risultati degli studi le ritroviamo analizzando la casistica di infortunio del nuoto le cui tecniche agonistiche prevedono movimenti di abduzione in intrarotazione che garantiscono una maggior propulsione in acqua e una performance migliore.
Nei nuotatori agonisti la sindrome da impingement alla spalla è il problema più comune, e si accentua maggiormente più il nuotatore è di alto livello e se compete in gare di sprint ( resistenze idrodinamiche maggiori a velocità maggiori creano un usura articolare maggiore). (Richardson et al., 1980 )
Infine attingendo anche dalla fisioterapia siamo a conoscenza di alcuni test di evocazione del dolore per la spalla:
“Test di Jobe”: “con spalla abdotta a 90°, anteposta di 30°ed intraruotata con pollici orientati verso il basso, il soggetto deve resistere ad una spinta verso il basso esercitata dall’esaminatore.”

“Segno di Neer”: “l’esaminatore si pone alle spalle del soggetto ed esegue un’elevazione passiva del braccio intraruotato mantenendo con l’altra mano la scapola abbassata.”
“Test di Hawkins”: “spalla e gomito del cliente flessi a 90°, l’esaminatore posto davanti gli esercita una rapida intrarotazione portando in basso l’avambraccio e mantenendogli il gomito fermo”
Essi hanno lo scopo di indagare sulla presenza di anomalie all’interno della spalla, creando un conflitto sub acromiale tramite una elevazione attiva (Jobe e Hawkins) o passiva (Neer) del braccio intraruotato, provocando quindi in soggetti sintomatici il dolore da schiacciamento dei tessuti intrarticolari ( Pappas et al., 2006).
Appare quindi sconsigliabile somministrare ai soggetti esercizi in cui è prevista un abduzione associata ad intrarotazione che, alla lunga, aumenta di molto il rischio di incorrere in spiacevoli problemi.
Tuttavia abbiamo visto come, anche su manuali del settore, siano proposti esercizi del tutto simili ai test di evocazione del dolore analizzati.
Questi esercizi nati dal body building del secolo scorso, sono stati tramandati dalla cultura della sensazione e dalle imitazioni di atleti che si sono selezionati nel tempo: con le conoscenze anatomiche e biomeccaniche di oggi non possiamo più permetterci di parlare di sensazioni ma solo di scienza applicata all’allenamento, specie se abbiamo a che fare con persone comuni, come nei centri fitness, che vengono per preservare la propria salute.
La spasmodica attenzione spesso rivolta ai muscoli distoglie l’attenzione dalla struttura più delicata destinataria degli insulti provocati da un mancato rispetto della biomeccanica: secondo Reinold et al. (2007), la maggior attivazione elettromiografica dei fasci del deltoide mediali nell’esercizio in intrarotazione rispetto a quello in extrarotazione non può oscurare il fatto che “l’esercizio in extrarotazione possa essere considerato il più sicuro in termini biomeccanici per la minor riduzione dello spazio sub-acromiale” e che l’esercizio in intrarotazione “crea dolore in soggetti sintomatici per via del maggior contatto tra strutture articolari”.
Il personal trainer ha il dovere di svolgere un azione preventiva e rivolta al mantenimento della salute del proprio cliente, e debba basarsi sul principio del massimo beneficio in termini di condizionamento muscolare e minimo rischio in termini di sicurezza articolare e l’esercizio in extrarotazione garantisce il giusto compromesso in questo senso.

Ha poco senso rischiare un esercizio potenzialmente più pericoloso per un attivazione maggiore di una porzione di un singolo muscolo, conoscendo chiaramente come il corpo umano agisca principalmente per catene muscolari e l’isolamento sia pura utopia.
Massimo beneficio minimo rischio
Essenzialmente nell’ambito fitness vengono proposti due esercizi per stimolare l’articolazione della spalla ed entrambi prevedono il medesimo movimento (con una leva differente): l’abduzione dell’omero.
Un ruolo fondamentale ai fini di eludere l’impingement è ricoperto anche dalla mobilità della scapola, la quale deve essere in grado di sollevarsi in modo efficace per dare spazio all’omero nella sua risalita, e non farlo sbattere contro la volta acromiale. (Atalar H. et al., 2009)
Essa inoltre, si va a posizionare posteriormente sul torace formando un angolo (soggettivo) di circa 30° col piano frontale, motivo per cui nei movimenti di vita quotidiana non abbiamo mai abduzioni pure ma sempre abduzioni con omero leggermente anteposto. ( Kapandji, 2010).
Il rispetto di questa caratteristica strutturale anche durante un esercizio con un sovraccarico, elimina possibili forzature e garantisce la totale naturalezza del gesto.
Quindi riassumendo per un esercizio sicuro per il nostro cliente:
• Effettuare a partire da circa 30° di abduzione una parziale extrarotazione dell’omero e mantenerla per tutto il rom di movimento
• Imparare a sollevare correttamente la scapola durante l’abduzione
• Eseguire l’abduzione in leggera anteposizione dell’omero (soggettiva a seconda delle posture di ogni persona) rispettando il piano di movimento della scapola.
Da un punto di vista puramente muscolare, infine, le due coppie funzionali garantiscono l’abduzione e, i muscoli che le compongono si contraggono sempre e in modo coordinato dal primo all’ultimo grado. (Codman, 1906, Nihon Seikeigeka et al. 1988.)
Risulta assolutamente impensabile credere di escluderne uno o l’altro a seconda dei gradi di abduzione: deltoide, sovraspinato, gran dentato e trapezio superiore si contraggono sempre dal primo all’ultimo grado del movimento.
In particolare:
• Il deltoide mediale, abduttore dell’omero, che esercita al massimo la sua azione quando l’omero è sollevato fra i 90° e i 120°, soprattutto con le sue fibre intermedie. (Luttgens, 1978)
Eseguire abduzioni con sovraccarico partendo con l’omero a 0° di abduzione (massimo allungamento fisiologico possibile) e portandolo oltre i 90° (massimo accorciamento fisiologico) ne garantisce quindi un’efficace stimolazione.
• Il trapezio superiore, allo stesso tempo, si contrae fin dai primi gradi di abduzione ed entra in gioco nel ritmo scapolo-omerale sollevando la scapola.
Il modo più fisiologico ed efficace per allenarlo è sicuramente l’abduzione completa (in parziale extrarotazione) con sovraccarico, movimento naturale per il quale è stato creato e che svolge inconsapevolmente tutti i giorni.
Lo studio e l’applicazione pratica dell’anatomia e della fisiologia articolare possono aiutare il personal trainer ad essere riconosciuto come professionista serio e preparato nell’immaginario comune che ora invece lo vede spesso come un personaggio contraddittorio e poco stimato.
Questo è solo un piccolo esempio (ma se ne potrebbero fare tanti altri) di come le conoscenze scientifiche possono essere applicate per fare la differenza in un mare di scetticismo e confusione.